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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2013 alle ore 12:05.
L'ultima modifica è del 06 dicembre 2013 alle ore 12:55.

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A Costa do Sauipe, polo turistico distante una settantina di chilometri da Salvador, capitale dello stato di Bahia, è tutto pronto. Alle 17 ore italiane si aprirà il sipario sui Mondiali brasiliani del 2014. In ballo, il sorteggio per definire il come, dove e quando delle 32 squadre ammesse alla fase finale. Tra i tanti protagonisti del calcio internazionale che assisteranno all'evento non ci sarà uno degli uomini che hanno scritto alcune delle pagine più belle del pallone made in Italy: Giovanni Trapattoni, il Trap per amici, appassionati e colleghi di vecchia data.

Pensi al Trap e ti vengono in mente alcune delle immagini più belle del calcio di casa nostra degli ultimi sessant'anni. Fuori e dentro il campo. Con e senza gli scarpini da calciatore. Perché Giovanni da Cusano Milanino, classe 1939, ha fatto prima il fenomeno con la maglia del Milan e poi ha deciso di predicare calcio dalla panchina. Tra fischi, sussulti da Far West e slanci da rockstar. Dalla metà degli anni Settanta fino allo scorso settembre, quando ha scelto di lasciare il timone dell'Irlanda dopo la mancata qualificazione al torneo mondiale. Il Trap è un fiume in piena. Corre, scalcia e sbuffa, giorno dopo giorno. Sfida dopo sfida. Il ritiro? Manco a parlarne. Trapattoni aspetta di salire sul treno giusto per riprendere il discorso interrotto e raggiungere nuovi traguardi. Tempo qualche settimana e si saprà, promette lui, che via telefono accetta di fare una lunga chiacchierata con ilsole24ore.com per dire la sua sui temi caldi del giorno.

Trapattoni, cosa ne pensa della decisione della Fifa di spostare la Francia con le altre otto squadre europee? L'Olanda non ha gradito.
"L'Olanda non ha gradito per i giochi fatti in passato. Sul piano psicologico, direi che è comprensibile. Le ragioni di questa scelta non si conoscono, anzi, si conoscono ma non si dicono. Insomma, non mi stupisce che gli olandesi se la siano presa".

Tra tutte le squadre che potremmo incontrare nella fase a gironi, quale teme di più? Spagna, Germania, Brasile, Belgio o Argentina?
"Sono convinto che l'Italia possa tranquillamente affrontarle tutte. Le parole di Prandelli sono significative: abbiamo dimostrato che con il nostro calcio possiamo fare bene. Anche se a volte cadiamo in problemi psicologici che possono condizionare il nostro rendimento in campo. Il passato lo dimostra. Più forte è la squadra che incontriamo, più dimostriamo di saperci comportare nel modo migliore. Non siamo l'ultima ruota del carro. Tutt'altro, sono sicuro che siamo all'altezza delle nazioni più forti. Comunque vada il sorteggio, Prandelli sa che può contare su giocatori agguerriti. E in ogni caso, per andare avanti nel Mondiale, presto o tardi bisogna incontrare le squadre più preparate".

Crede che l'Italia possa ritagliarsi uno spazio da protagonista?
"Dico di sì, perché il valore tecnico dei nostri giocatori è di tutto rispetto. Certo, sarà importante arrivare al Mondiale senza infortunati e con calciatori non troppo spremuti dai vari impegni con le squadre di club. Questo è un aspetto che non si mette spesso sulla bilancia, io invece l'ho sempre considerato. Detto questo, il potenziale della rosa a disposizione di Prandelli è altissimo. Sono sicuro che l'Italia possa fare un ottimo torneo".

A proposito di infortuni e infortunati. Nel 2002 fece molto discutere la sua decisione di non convocare Roberto Baggio ai Mondiali in Corea del Sud e Giappone. Ancora convinto di aver fatto la scelta giusta? E cosa dice oggi dei giocatori che rischiano di rimanere a casa? Cassano e Totti possono ancora sperare in una chiamata?
"Vogliamo confrontare la situazione di Baggio con quella di Totti? Bene. Tanto per cominciare, l'infortunio capitato a Baggio era molto più grave di quello che ha subito Totti. Baggio si è rotto l'ultimo crociato e chi ne capisce di infortuni sa che non è una cosa da nulla. Io sono sempre stato in contatto con chi gli è stato vicino nei giorni dell'operazione e della riabilitazione. Chiamavo spesso la clinica di Bologna per sapere quali fossero le sue condizioni. In più, prima di escluderlo dalla rosa, parlo del 30 aprile 2002, sono andato con lui alla visita definitiva. Per tre mesi, da quando si era infortunato, Baggio non aveva più calcato il terreno di gioco. Io potevo contare in rosa su cinque attaccanti importanti, li avevo tutti, tutti tranne lui, e dovevo prendere una decisione".

Una decisione inevitabile, quindi.
"Non è stato affatto semplice decidere di lasciarlo a casa. E' stata un'esclusione obbligata, ecco tutto. Un allenatore ha il dovere di fare quella che considera la scelta più oculata. Se Baggio fosse stato bene, non avrei avuto problemi a convocarlo. Da persona responsabile non potevo stare dietro alle convinzioni dei procuratori del giocatore o a chi mi diceva di fare diversamente. Totti ha avuto un infortunio sicuramente meno grave. Prandelli l'ha già detto, prenderà fino alla fine in considerazione i giocatori fisicamente a posto e di tempo ce n'è ancora. Se Totti dimostrerà di stare bene, potrebbe fare comodo alla Nazionale, perché no? Ma ripeto, soltanto a patto che stia bene davvero".


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