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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2013 alle ore 08:17.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:05.

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Lei ha ragione: l'analisi monetaria rafforza la nostra visione di pressioni inflazionistiche moderate. La debole crescita del credito, però, è dovuta in larga parte a fattori al di là del nostro controllo. Per esempio, la scarsa domanda di credito è dovuta alla necessità di ridurre la leva finanziaria di settori privati altamente indebitati e alla debole situazione macroeconomica. L'offerta di credito, d'altro canto, è limitata principalmente dalla debolezza dei bilanci delle banche e dagli alti rischi di credito.

Il credito scarseggia soprattutto nei Paesi periferici e in particolare per le piccole e medie imprese. Non sarebbe un motivo per porsi un obiettivo di credito alle Pmi, per esempio con una fornitura di liquidità mirata, sulla linea dello schema Funding for Lending del Regno Unito?
Il maggiore impedimento al credito certamente non è la liquidità, ma i fattori che ho appena citato. Questo vale per i prestiti alle Pmi ma anche per gli altri crediti. Non è stato perciò una sorpresa che molta della liquidità che abbiamo fornito attraverso le operazioni a lungo termine non sia stata indirizzata all'economia reale. Molte banche invece l'hanno usata per comprare titoli di Stato, soprattutto in Italia e in Spagna. Perché la fornitura di liquidità sia più efficace nel senso che Lei indica, dobbiamo prevenire questi effetti collaterali indesiderati. Comunque, in linea di principio non dovremmo cercare un fine-tuning delle decisioni delle banche oltre questo punto. Non dimentichiamo che il trattamento regolamentare attuale dell'esposizione delle banche al debito sovrano crea uno svantaggio per il credito alle imprese rispetto a quello ai governi. Abolire tali privilegi avrebbe effetti positivi sull'offerta di credito al settore privato.

Il tasso di cambio non è un obiettivo della Bce. Tuttavia, la forza dell'euro aggrava la disinflazione.
Il cambio è uno dei fattori che entrano nelle nostre previsioni di inflazione, quindi il suo impatto sui prezzi nell'area euro è già tenuto in considerazione.

Molti economisti attribuiscono lo stato attuale dell'economia dell'Eurozona, almeno in parte, a troppa austerità. C'è un rischio che la "fatica da austerità" nei Paesi periferici vada a scontrarsi, anche in termini sociali, con la "fatica da salvataggi" dei Paesi del cuore dell'unione monetaria, rendendo l'attuale percorso dell'Eurozona politicamente insostenibile?
Sia l'Eurosistema sia gli analisti prevedono una ripresa graduale dell'area euro e non una recessione prolungata. Per quanto riguarda la sostenibilità politica, dubito che un aggiustamento più lento sia più digeribile di uno più corto, ma più netto. Un aggiustamento più breve ti consente di vedere la luce alla fine del tunnel più rapidamente. Alla fine, la strada da prendere deve essere decisa a livello politico, dai Paesi stessi e dai loro partner. Perché nei Paesi che hanno un programma di aiuti, più si allunga l'aggiustamento e più fondi dai meccanismi di salvataggio saranno necessari.

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