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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2013 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:07.

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Deve, dobbiamo, dovremmo, è il tempo di, vogliamo, occorre, bisogna, interverremo. Il «nuovo inizio» del premier Enrico Letta, più efficace nelle repliche che nell'intervento d'apertura alla Camera, è un atto di fiducia su un futuro molto prossimo che prende il nome di "Impegno 2014".

Il Governo scommette sulla ripresa e conferma gli impegni (con un paio di importanti novità). Ma è chiaro che da oggi non ci sono più alibi né rinvii possibili. In un Paese stremato, che galleggia (lo dimostra il caso dei "forconi") in un «liquido amniotico di caos», come lo definisce il Censis, la riproposizione di ciò che si deve fare, o non fare, ormai scorre via inascoltata. Pensiamo alla sola idea della promessa abolizione delle Province o allo stop del finanziamento pubblico dei partiti nei giorni in cui dai consigli regionali riaffiorano scandali miserabili. O all'annuncio dell'istituendo "Contatore della semplificazione", per non dire del braccio di ferro tra Senato e Camera su chi deve procedere per mettere a punto la nuova legge elettorale.
Servono le decisioni, e i fatti che a loro volta possano incidere, in meglio, sulla vita dei cittadini e delle imprese. Ha ragione Letta ad osservare che nessuno dispone della "bacchetta magica", che la recessione è tecnicamente finita e che lo spread si è significativamente abbassato. Tutto vero. Però non basta, se è vero come ammette lo stesso Letta nella sua replica al Senato, che «esiste una profonda crisi sociale e una terribile onda lunga della crisi che all'inizio non è stata percepita». E che è stata poi sottovalutata, aggiungiamo.

L a crescita "zerovirgola" non è un orizzonte socialmente potabile, anche il +1% del Pil nel 2014 è tutto da conquistare e il +2% del 2015 è giudicato obiettivo non realistico da molte autorevoli istituzioni pubbliche e private. Ieri, anche il nuovo responsabile economico del Pd a guida Matteo Renzi, Filippo Taddei, ha detto detto che è «molto ottimistico» e che l'ostacolo a realizzare le riforme promesse risiede «nell'eterogenea coalizione» di governo che al contrario Letta vede più forte e coesa dopo la scissione avvenuta nel centrodestra.
Su fisco e spesa pubblica, cioè sul terreno delle riforme, il premier ha confermato numeri e progetti previsti dalla legge di stabilità (sotto ferrea osservazione della Commissione europea, non va dimenticato) ed ha ribadito l'impegno a rafforzare la manovra di riduzione del cuneo fiscale inserendo, con un meccanismo automatico, i proventi della spending review e del ritorno dei capitali dall'estero. Alla riduzione del debito pubblico andranno poi 10-12 miliardi come frutto delle dismissioni di uno Stato che "non si deve occupare di tutto" mentre "le risorse fresche dai privati sono utili per lo sviluppo delle imprese". Parole se vogliamo ovvie in un Paese "normale" a normale economia (anche sociale) di mercato, ma che suonano sempre diversamente in Italia, dove allo Stato, inefficiente e invasivo, si finisce sempre per chiedere qualcosa.

Le due vere novità riguardano la prospettata apertura del capitale delle Poste - società pubblica- all'azionariato dei lavoratori, secondo il modello della cogestione tedesca, una svolta che farà discutere. E poi, sul terreno politico sensibilissimo dell'Europa, il richiamo alla possibilità che l'Italia sottoscriva gli "accordi contrattuali", proposti dalla Germania e in discussione al prossimo vertice Ue a Bruxelles prima di Natale, che prevedono lo "scambio" tra riforme essenziali attuate da un paese membro e aiuti o agevolazioni da parte dell'Europa. Può essere un'opportunità, ma anche no: dipende da come l'intesa verrà costruita. Di sicuro siamo sul campo già arato col Six Pack e il Two Pack che prevede cessioni progressive di sovranità nazionale. L'importante sarebbe discuterne in modo appprofondito come una scelta del genere meriterebbe. Ma qui usiamo il condizionale, perché la politica italiana, quando si parla di vincoli europei, approva tutto e in fretta salvo poi criticare dopo quando fa i conti con i suoi effetti. Il che non aumenta la nostra credibilità.
guido.gentili@ilsole24ore.com

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