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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2013 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:07.

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Può darsi che per il governo sia davvero un "nuovo inizio". Molti se lo augurano ed Enrico Letta sembra esserne convinto, ma occorrerà del tempo per verificarlo. Il premier ha riscritto l'agenda delle cose da fare e ha introdotto alcune novità, ma non ha mostrato tutte le sue carte. Si capirà meglio a gennaio, quando la scaletta degli impegni sarà messa a punto e abbraccerà temi economici e istituzionali in una miscela destinata ad alimentare l'attività dell'esecutivo fino al 2015. Tuttavia ieri il vero momento politico è stato lo scontro in aula con i grillini. Scontro cercato dallo stesso Letta, in una certa misura, per tracciare una netta linea discriminante: o di qua o di là.

Secondo una vecchia regola dell'arte militare, valida anche in politica, per consolidare le proprie truppe è opportuno disporre di un nemico. E ieri Enrico Letta il "nemico" è andato a cercarselo fra gli esagitati parlamentari del Movimento Cinque Stelle. Si dirà che non ha fatto molta fatica perché da mesi i "grillini" hanno eletto lui, il governo, le istituzioni, la democrazia parlamentare come loro nemici giurati. Ma c'è un elemento di novità.
Il malessere sociale cresce nel paese e i cosiddetti "forconi" lo esprimono nel modo più anarchico e intollerante. È un'insidia vera cresciuta nel tempo, specchio deforme dell'impotenza della politica. Un fenomeno che impone a tutti un serio esame di coscienza: al governo che non fa abbastanza e alle opposizioni che oggi sono davanti a un bivio cruciale.

L'alternativa è presto detta. O l'opposizione nelle sue varianti (grillini e berlusconiani su tutti) accetta fino in fondo le regole democratiche e si misura sul piano costituzionale, in un confronto con la maggioranza che prevede duri contrasti, certo, ma anche possibili convergenze: ad esempio su alcune riforme. Ovvero questa stessa opposizione, almeno una parte di essa, sceglie di uscire dal palazzo e di scendere in strada a rincorrere non la rivoluzione, bensì la rivolta più disordinata e confusa. Una rivolta ricca di venature "sanfediste" e permeabile alle pulsioni estremiste, quindi senza dubbio pericolosa per la tenuta democratica.
Il nervosismo dei Cinque Stelle deriva dalla loro ambiguità di fondo. Temono di essere scavalcati dai "forconi" e di ritrovarsi intrappolati in Parlamento. Non a caso Beppe Grillo cerca di galoppare sull'onda e alza sempre più i toni, in un crescendo incontenibile e poco sensato che dà l'impressione di una situazione sfuggita di mano.

Berlusconi, dal canto suo, è scivolato per un paio di giorni lungo una china rischiosa, arrivando a tendere la mano ai rivoltosi. Ma poi ha saputo ritrarsi in tempo, avendo capito che c'è un limite al trasformismo per un personaggio che è stato più volte presidente del Consiglio e che oggi non può seriamente presentarsi come un sostenitore dei "forconi".
Si capisce allora che il malessere sociale pone gravi problemi al governo, ma anche all'area dell'opposizione. Se Grillo può inseguire i nuovi sanfedisti, altri non possono. E non è detto peraltro che questa linea porti frutti ai Cinque Stelle. Anzi, fa spesso emergere la loro immaturità. Letta ieri è stato abile nel creare un muro fra la maggioranza e queste opposizioni scomposte e irresolute. Così facendo, il premier - è vero - ha chiuso idealmente Renzi nel recinto della coalizione, scoraggiando ogni tentazione di compiere "giri di valzer" non tanto con Berlusconi, quanto con i grillini.

Eppure, lo stesso Renzi ha più da guadagnare che da perdere nello schema di gioco descritto dal presidente del Consiglio. Una linea tracciata nella sabbia. Di qui un patto da sottoscrivere, un governo che sul serio si dedica al "nuovo inizio", una maggioranza che si spende tutta nel rapporto con il paese. Di là il caos forcaiolo, gli scontri, le forze dell'ordine invitate all'ammutinamento come fossimo sulla corazzata Potionkin. Nella diarchia che si va delineando al vertice, Renzi non ha dubbi sulla scelta da fare, anche in vista delle europee.

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