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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2013 alle ore 06:49.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:11.

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BAGGIOVARA (MODENA) - I costruttori italiani di macchine per il packaging archiviano il 2013 con una crescita del business fuori dall'ordinario e ben oltre le attese di inizio anno (+7,6% in dodici mesi), battendo così il nuovo record storico di 5,92 miliardi di fatturato, dopo il precedente massimo di 5,5 miliardi raggiunto nel 2012. E se nella volata verso i 6 miliardi può essere scontato che a trainare sia l'export, con +8,6% tra gennaio e dicembre, non è da sottovalutare l'accelerazione delle vendite sul mercato interno, passato dal -3,1% di metà anno al +3% del bilancio annuale.

Performance, quelle diffuse ieri dal centro studi Ucima (l'Unione costruttori di macchine automatiche per il confezionamento e l'imballaggio) nei preconsuntivi 2013, che lasciano a bocca aperta, di fronte all'ultima fotografia dell'Istat che racconta invece di una produzione industriale italiana scesa del 3,5% nei primi dieci mesi dell'anno rispetto allo stesso periodo del 2012 o alle analisi del Centro studi di Confindustria che rilevano, sì, una timida ripresa industriale, ma da «prefisso telefonico», come il presidente Giorgio Squinzi definisce gli zero virgola che seguono i primi segni più del nostro manifatturiero da due mesi a questa parte.

Come fa a esistere e resistere una nicchia di 635 aziende e oltre 26mila addetti tanto florida all'interno dell'industria dei beni strumentali - in flessione di oltre sei punti da inizio anno – e di un manifatturiero che sta pagando alla recessione e ai gap del sistema Paese il conto più salato, dal dopoguerra, in termini di emorragia di imprese, occupati e valore aggiunto? «Facciamo buone macchine, investiamo molto sulla ricerca e sviluppo, lavoriamo tanto all'estero, con una quota export che ha raggiunto l'83,6% del fatturato, e riusciamo a macinare margini sebbene siamo in Italia», risponde Giuseppe Lesce, presidente di Ucima. Non potendo peraltro misurare quanto del merito dell'exploit vada all'indubbia competitività del made in Italy – che ha raggiunto i concorrenti tedeschi nella spartizione del mercato globale, con un 25% a testa dei commerci mondiali di packaging - e quanto al dinamismo della domanda, che dopo il grande freddo di inizio 2013 si è surriscaldata a partire dall'estate. «Il packaging è un universo molto variegato con comparti e mercati che si muovono su registri diversi. Il farmaceutico – entra nel dettaglio il presidente – è in ebollizione ovunque, anche sui mercati maturi; il beverage corre soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, con la grande sorpresa dell'Africa quest'anno che contiamo di confermare nel 2014; il food è una miniera di sperimentazioni di prodotti e soluzioni nuove. E certo un anno fa, di questi tempi, non si godeva di grandi prospettive».

In realtà si continua a lavorare su orizzonti brevi anche in questo spumeggiante finale d'annata, precisa Ucima, con una stagionalità esasperata, maestranze al lavoro sabati e domeniche e una fame insoddisfatta di tecnici specializzati che il sistema formativo italiano non riesce a preparare. «Perché la politica continua a considerarci un made in Italy di second'ordine, mentre siamo una delle eccellenze della famiglia Federmeccanica che giocano sui mercati globali ad armi pari con i tedeschi scontando però l'ironia del sistema Paese che hanno alle spalle», commenta Lesce, che vede ormai a portata di mano il traguardo dei 6 miliardi di fatturato. In un comparto in cui i primi 15 operatori accentrano la metà del business e in cui il leader bolognese Coesia preannuncia un fatturato 2013 in crescita del 15% a 1,4 miliardi (il doppio del risultato 2008) realizzato per il 97% oltre i confini nazionali.

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