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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2013 alle ore 06:40.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:11.

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«Chiediamo al governo Letta, al presidente del Consiglio di eliminare ogni riferimento alla web tax e porre il tema dopo una riflessione sistematica nel semestre europeo». Dopo il palco dell'assemblea del Pd che lo ha eletto segretario, Matteo Renzi ribadisce su twitter, rafforzandolo, il no alla norma che, nata per combattere il fenomeno dell'elusione fiscale dei big del web, si sta trasformando nell'archetipo di tutte le battaglie sulla libertà della rete. Con tanto di posizioni contrapposte, anche in modo marcato.

Netto, ad esempio, il giudizio di Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo editoriale L'Espresso, nell'odierna puntata di Mix 24 di Giovanni Minoli su Radio 24: «Penso che Renzi sulla web tax sia stato mal consigliato. Rinviare il problema e dire "risolviamolo in Europa" mi sembra un po' buttare la palla in tribuna, ecco».
Renzi, preannunciando una nota in merito, aveva ribadito che la web tax è un errore: «C'è il tema della tassazione dei servizi online, è giusto evitare l'elusione delle grandi piattaforme informatiche» ma questo «non lo si risolve con una battaglia di principio che fa l'Italia, con un emendamento alla legge di stabilità». Dal canto suo De Benedetti si dice favorevole alla web tax rilevando che «Google è un'azienda che ha portato molto beneficio e innovazione nell'ambito della navigazione su internet e in genere della conoscenza, ma non vedo per quale ragione debba essere esentata dal pagare le imposte quando ha un'organizzazione stabile in Italia, con la quale realizza fatturati e utili imponenti. Come le paghiamo tutti le imposte – prosegue – non si capisce perché non le paghi Google, piuttosto che Facebook o Amazon». Per De Benedetti non può essere un alibi l'elevato livello di pressione fiscale: «Le tasse sono tante? Ma neppure all'estero pagano le imposte. È una costruzione che non è evasiva, ma è elusiva, legalmente, fiscalmente lecita, ma profondamente ingiusta».

La partita appare sempre più complicata. Anche il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato si è fatto sentire, ma con una posizione che non sembra riflettere quella di Renzi o dei deputati del Pd, Lorenza Bonaccorsi ed Ernesto Magorno, che hanno dato manforte al neosegretario. «C'è un equivoco: non si tratta di tassare Internet ma di creare situazioni di parità per le nostre imprese. Stesse tasse» ha scritto su twitter Zanonato, che poco prima a Radio 24 aveva comunque ammesso che a fronte di un problema reale la norma lo affronta in modo «un po' grossolano».
Il no alla web tax anche ieri ha dominato le tendenze sui social network. Nuove polemiche sono state accese sul blog di Beppe Grillo e da più parti sono state citate anche altre dirompenti novità sulla legislazione di internet. Ad esempio, la norma del ddl Destinazione Italia che obbligherebbe i motori di ricerca ad accordarsi con gli editori prima di diffondere o anche solo indicizzare contenuti giornalistici. E ancora: i nuovi poteri dell'Authority sul diritto d'autore online e il prospettato aumento dei compensi per le opere digitali.

Qualcuno l'ha perfino battezzata la settimana più nera del web. Il cui culmine, per ironia della sorte, è giunto nel giorno in cui il premier Enrico Letta ha incontrato il consulente del governo per l'Agenda digitale, Francesco Caio, incaricato di stilare un rapporto sullo stato dell'infrastruttura da cui dipende il futuro della banda larga e dei contenuti online nel mercato italiano. «Seguiremo con attenzione i piani di sviluppo delle reti», ha assicurato il premier in un comunicato di Palazzo Chigi.

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