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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2013 alle ore 09:55.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:16.

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All'inizio del suo terzo anno alla presidenza della Banca centrale europea, Mario Draghi si trova ad affrontare una doppia sfida, potenzialmente altrettanto rischiosa della fase acuta della crisi dell'Eurozona .

Fu quella fase, nel luglio 2012, a indurlo ad annunciare che avrebbe fatto «tutto il necessario» per salvare l'euro. Il problema più ovvio, per una banca centrale che ha nella stabilità dei prezzi il suo mandato, è la disinflazione, che tiene lontana la Bce dal suo obiettivo di stare "sotto, ma vicina" al 2%. A fine 2014 l'Eurozona è sotto l'1%, i Paesi più colpiti dalla crisi sono in deflazione. Le previsioni della stessa Eurotower riconoscono che la situazione è destinata a migliorare solo marginalmente nel 2014 e nel 2015. La tenace forza dell'euro, ormai a 1,38 sul dollaro, accentua le pressioni deflattive, oltre a ostacolare le esportazioni, unico elemento trainante dell'asfittica ripresa. C'è da chiedersi se la politica monetaria sia sufficientemente accomodante e se la Bce non abbia agito con troppa lentezza e in misura inadeguata nei mesi scorsi. Le armi convenzionali ancora a disposizione della Bce, un taglio dei tassi di interesse ufficiali a 0 o poco più e una riduzione in territorio negativo dei tassi praticati sui depositi delle banche presso la Bce stessa, potrebbero avere qualche impatto, ma sono le ultime cartucce rimaste. L'uso dell'arma atomica degli acquisti di titoli (quantitative easing) può esser previsto solo in casi estremi e solo a prezzo di uno scontro di proporzioni imprevedibili con la Bundesbank e la Germania. L'efficacia della "forward guidance", le indicazioni prospettiche sull'andamento dei tassi d'interesse, che la Bce ha promesso resteranno così bassi o ancor più bassi molto a lungo, è per lo meno dubbia.

Fin qui si tratta però almeno del classico terreno d'azione della banca centrale. Nel 2014, la Bce ci aggiungerà la vigilanza delle banche dell'Eurozona, un compito per il quale non ha per il momento le risorse necessarie, ma sul quale si giocherà la reputazione, con il rischio che credibilità della vigilanza e credibilità della politica monetaria interagiscano. Solo il raggiungimento di un difficile equilibrio fra una vigilanza non troppo dura che paralizzi il settore bancario e una troppo morbida che si esponga alla critica di non fare la pulizia tanto a lungo rinviata consentirà di non danneggiare l'istituzione. La valutazione approfondita delle banche che occuperà la Bce nei prossimi dieci mesi presenta poi un altro pericolo, quello di aggravare, almeno nel breve termine, la stretta creditizia, dato che le banche potrebbero scegliere di mettersi in riga per gli esami in arrivo battendo la strada di un ulteriore deleveraging. E in parte lo stanno facendo.

La prossima revisione dei bilanci bancari e gli stress test, dei quali non sono ancora noti i parametri, si intrecciano con una situazione di mercato in cui sono tornate le tensioni, con una stretta di liquidità e un rialzo dei tassi. Si tratta di effetti normali per la fine d'anno e di ripercussioni delle scelte della Federal Reserve. Si vedra all'inizio del 2014, ma l'incertezza legata agli esami Bce, all'avversione per una quota troppo alta di raccolta presso l'Eurotower, al trattamento del portafoglio di titoli di Stato, va risolta il più rapidamente possibile. La Bce può battere le due strade della mancata sterilizzazione dei suoi acquisti passati di titoli di Stato o dell'annuncio di una nuova operazione di finanziamento a lungo termine delle banche, ma deve contestualmente cercare di sciogliere il nodo di come incanalare questa liquidità verso l'economia reale.

Deflazione e ulteriore paralisi del credito in vaste aree dell'Eurozona sono due pericoli concreti per la Bce nel 2014. La loro soluzione metterà alla prova l'immaginazione e la determinazione di Draghi. Tanto più in un consiglio in cui l'uscita di scena di Joerg Asmussen, pur se non va sopravvalutata, altera in parte gli equilibri, privando il presidente di un alleato prezioso e di una voce tedesca che potesse interpretare un'opinione dissonante da quella della Bundesbank. Il presumibile arrivo della vicepresidente della Banca centrale tedesca, Sabine Lautenschlaeger, porterà con sé due conseguenze: una visione più ortodossa di politica monetaria da parte della nuova arrivata, che esperienza di politica monetaria non ne ha alcuna, e un controllo più stretto, e dall'interno della nuova vigilanza unica, da parte della Germania (dato che la signora Latuenschlaeger è esperta di vigilanza), quando proprio le banche tedesche sono fra le maggiori indiziate di possibili problemi al prossimo esame Bce.
Il 2014 potrebbe insomma essere l'anno in cui i mercati chiederanno a Draghi di dimostrare che significa fare «tutto il necessario».
alessandro.merli@ilsole24ore.com

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