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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2014 alle ore 07:15.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:33.

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I mercati finanziari sono tranquilli e i politici europei tirano un sospiro di sollievo: ma i problemi, che da quattro anni alimentano la crisi dell'euro, sono tutti in piedi ed è tempo di affrontarli. Lo dicono due recenti saggi, uno di un gruppo bipartisan di economisti, avvocati e politologi tedeschi chiamato Gruppo di Glienicker, l'altro di Ashoka Mody, ex funzionario del Fondo monetario internazionale e docente all'Università di Princeton e membro del Bruegel, il think tank europeo con sede a Bruxelles.

Gli autori concordano sulla necessità di agire. Il Gruppo di Glienicker sostiene che la sopravvivenza dell'euro dipende dalla creazione di un'unione politica, dotata di un bilancio comune. Mody dice che sono cinquant'anni che i piani federalisti dell'Unione Europea non approdano a nulla e che l'unica via d'uscita è abbandonare gli sforzi per armonizzare politiche nazionali decise a Bruxelles e seguire la strada di un'unione decentralizzata.
La premessa da cui partono è corretta: la crisi dell'euro non è finita, le soluzioni adottate non bastano a garantire stabilità nel lungo periodo e la tregua conquistata va usata per progettare l'architettura permanente dell'Eurozona. L'insediamento di una grande coalizione in Germania, insieme alla nomina di una nuova Commissione dopo le elezioni per il Parlamento europeo, forniscono l'opportunità per ripensare le politiche seguite finora.

Il disaccordo fra i due saggi è di natura politica, non economica. Il Gruppo di Glienicker sostiene che per garantire un'unione monetaria stabile c'è bisogno di un meccanismo di trasferimenti che contribuisca ad attutire i colpi delle recessioni gravi, e di un Governo legittimo che garantisca democrazia e Stato di diritto, in ogni momento e in tutti i Paesi. La loro tesi è che la Ue ha superato quella soglia di integrazione oltre la quale gli Stati membri non possono più comportarsi come nazioni realmente indipendenti. La dipendenza reciproca prodotta dall'euro crea la necessità di strumenti adeguati per la gestione dei beni pubblici comuni. L'idea del Gruppo di Glienicker è che l'Eurozona non può permettersi un Governo neofascista in un Paese membro, e che per prevenire un simile esito servono carote (meccanismi di trasferimenti) e bastoni (poteri sovranazionali).

Anche Mody pensa che con un'unione politica l'Eurozona funzionerebbe meglio. Ma sostiene che questa unione politica non nascerà, perché manca la volontà. Tutti i progetti, per quanto grandiosi, finiranno nel nulla, e sarebbe più saggio accettare la realtà e trarne le giuste conclusioni: l'Europa dovrebbe rinunciare agli sforzi per creare una federazione, sbarazzarsi del suo apparato tecnocratico di vigilanza, che manca di legittimità ed efficacia, e riconoscere che le scelte degli Stati sovrani non possono essere dettate da burocrati internazionali, se non in casi di emergenza.
La soluzione che propone Mody è che gli Stati decidano per conto proprio la politica di bilancio e dichiarino lo stato di insolvenza se non riescono più a rifondere il debito: le banche saprebbero che i titoli di Stato sono rischiosi e si comporterebbero di conseguenza, e i Governi costringerebbero le banche a ridimensionarsi rifiutandosi di socializzare le loro perdite salvandole in caso di bancarotta. L'Europa dovrebbe fare come gli Usa di fine Ottocento (o per essere forse più precisi come il sistema aureo di inizio Novecento).

La soluzione di Mody ha una sua coerenza logica e appare interessante. Ma non è detto che sia applicabile. Un default di un grosso Paese europeo sarebbe una catastrofe finanziaria. Il debito dello Stato della California oggi ammonta a circa l'1% del Pil statunitense: il debito pubblico italiano rappresenta il 18% del Pil dell'Eurozona. Il default della California sarebbe un evento secondario perfino per gli Usa, mentre in Europa, se l'Italia dichiarasse lo stato di insolvenza, i detentori di titoli di Stato subirebbero un colpo drammatico, molte banche dovrebbero chiudere i battenti e si metterebbe in moto una pericolosa reazione a catena.
Gli investitori, preventivando una catastrofe di questo genere, si terrebbero alla larga dai titoli italiani, costringendo il Governo di Roma a ridurre il suo debito pubblico. Ma una cosa del genere richiederebbe tempi lunghi e nel frattempo l'Eurozona sarebbe a rischio; e la stessa transizione verso un nuovo equilibrio fondato su un debito pubblico più basso aggraverebbe i mali dell'Europa.

In secondo luogo, un'unione come quella prefigurata da Mody potrebbe durare poco. Senza più l'assistenza dei loro partner, i Paesi membri potrebbero scegliere di andarsene: se non avesse ricevuto cospicui aiuti, la Grecia a questo punto forse avrebbe già mollato la Ue.
Mody e il Gruppo di Glienicker propongono due modelli opposti per l'Eurozona, e nessuno dei due modelli è senza rischi. Se, come entrambi sembrano suggerire, la preferenza dell'Europa per la via di mezzo è sbagliata e bisogna scegliere una o l'altra delle soluzioni proposte, allora siamo di fronte a un dilemma. È una ragione di più per usare l'attuale momento di tregua per mettere sul tavolo tutte le opzioni e dichiarare le proprie preferenze con relative conseguenze.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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