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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2014 alle ore 07:20.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:33.

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È morto a Roma il giornalista Pasquale Nonno, ex direttore del quotidiano «Il Mattino». Aveva 78 anni. Ammalato da tempo, Nonno era nato a Napoli il 17 giugno 1935 e alla sua città natale era sempre rimasto molto legato. Per otto anni e mezzo direttore del quotidiano più importante del Mezzogiorno, Pasquale Nonno aveva cominciato avviando insieme con alcuni colleghi un'agenzia specializzata nella politica, sua vera, autentica passione. A Roma lavorò al giornale della Cisl «Conquiste del Lavoro».

Da quell'esperienza Nonno poi passò a lavorare per «Panorama», diretto allora da Lamberto Sechi, e per «l'Europeo»; notista politico del Tg2 e del Gr fino alla direzione del giornale di Via Chiatamone. Nonno lascia la moglie e i tre figli Monica, Renato e Violante e cinque nipoti.
Per l'ultimo suo libro, apparso nel 1997, Pasquale Nonno scelse un titolo che riassume uno stato d'animo e una visione del mondo: Per gioco. Aveva già da tempo lasciato la direzione del Mattino e a questo libro consegnava alcune sue memorie, soprattutto quelle più intime, fotogrammi di una vita, di esperienze, di personaggi che aveva incontrato nella sua lunga carriera. Non era una somma di nostalgie, bensì una lucida testimonianza, attraverso il racconto autobiografico, della complessità della natura umana. Una narrazione di vita dove in filigrana appare il disincanto ironico, l'anticonformismo del pensiero, l'avvertimento che non tutto può essere spiegato attraverso le categorie sistemiche della razionalità.

Ecco perché, Pasquale Nonno sceglie di raccontare se stesso in alternanza con forbite spiegazioni tecniche del gioco delle carte. "Il due secondo si passa ma non è una regola certa. Chitarrella autore delle regole più maccheroniche e conosciute del tressette, è drastico nella sua ambiguità", esordisce raccontando come il gioco lo abbia aiutato a vivere in maniera distesa e ad interpretare meglio il mondo.
Nelle sue origini, padre impiegato di banca e madre insegnante, c'è molto di quello che diventerà dopo, nato nel quartiere delle professioni liberali, non lontano dalla residenza di Benedetto Croce, accanto a quelle che erano state le abitazioni di Francesco Saverio Nitti, Giustino Fortunato ed Enrico De Nicola. «Noi abitavamo al numero 45 di via Mario Pagano, quella strada che sta proprio dietro la stazione della Metropolitana di Piazza Cavour, che noi napoletani pronunciamo Càvour, non si sa perché», Nonno rivendica gli stili di vita, l'essenza, l'appartenenza a quella borghesia professionale napoletana, di cui oggi si è persa traccia, ma che aveva dato molto alla prima classe dirigente nazionale italiana. Una borghesia fatta di parsimonia, religiosità un po' superstiziosa, ma anche di grandi studi umanistici e giuridici, riformismo e meridionalismo. Si concentrava in una strada, via Foria, «una via bellissima: il sole se la prende d'infilata dal Museo a Piazza Carlo III».

Pasquale Nonno fu un cronista essenziale, come nella migliore tradizione di un giornalista che si rispetti, ma fu anche assertore di quella tradizione editoriale che accompagna ai fatti una visione generale, culturale e sociale, che tenta di offrire una prospettiva che nel suo caso fu molto spesso quella del meridionalista. «Oggi l'unità della nazione italiana è un problema aperto», scriveva nel 1994 di fronte ai fermenti leghisti. La Democrazia italiana sarebbe rimasta sempre monca se non si sanava il divario fra le due parti del Paese. Ma il meridionalismo doveva essere soprattutto consapevolezza dei propri errori, riscatto e impegno. Poi aggiungeva una quasi profezia: «Ora c'è un'Europa in subbuglio in cui si profilano l'egemonia e la forza di attrazione della Germania...».
La sua carriera giornalistica (Panorama, la Rai, L'Europeo, la direzione del Mattino) non può essere valutata se non si tiene conto di quell'humus politico culturale che fu la sinistra democristiana e in particolare l'egemonia che su di essa esercitò Ciriaco De Mita. Gli costò a lungo l'accusa di un giornalismo militante a favore del leader Dc a cui rispose che «la filosofia del giornalismo è semplicemente l'indipendenza», che si può avere anche se si hanno convinzioni politiche, basta preservare spirito critico unito al rispetto per chi la pensa diversamente. «Io - dice De Mita - penso anche quando dormo; quando gioco, invece, non penso».

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