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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2014 alle ore 09:10.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:35.
Lo spread sotto quota 200 è un fatto ed è una buona notizia. Si torna ai livelli di luglio 2011, appena prima della lettera di "richiamo" (5 agosto) firmata dall'allora Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, e dal presidente della Bce Jean-Claude Trichet. A novembre fu sfondata la soglia dei 570 punti base, Silvio Berlusconi lasciò la guida del Governo e al timone di Palazzo Chigi arrivò il senatore a vita Mario Monti.
Un anno più tardi, nel luglio 2012, il differenziale tra il rendimento dei Bund tedeschi e i titoli decennali del Tesoro italiano (Btp) era a livello 476. Di questi, circa 200 punti, osservò il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco, sono imputabili a noi italiani. Nel senso delle nostre responsabilità e dei ritardi sui terreni della competitività, della produttività, della crescita.
È questo, ancora oggi, lo spread da abbattere. Assieme, per cominciare, alle più diverse interpretazioni politiche di comodo, di maggioranza, di governo e di opposizione, che non spostano di un millimetro i problemi e la ricerca della loro soluzione. Contribuendo piuttosto ad alimentare un confuso ping-pong dei meriti e delle colpe.
Basterebbe notare che:
1. La Spagna (che aveva chiesto gli aiuti internazionali per sostenere le sue banche) sta facendo - ed è percepita - meglio dell'Italia che pure era uscita a maggio 2013 dalla procedura d'infrazione europea per deficit eccessivo.
2. Nel calmieramento delle tensioni sui mercati è stata decisiva la Bce a trazione Draghi.
3. Bisogna guardare anche "dietro" lo spread, visto che oggi, sotto quota 200, il rendimento dei Btp è al 3,93% mentre nel maggio 2011 lo spread era a 145 base e il rendimento al 4,7%. La differenza la fa, nel periodo considerato, la flessione dei Bund tedeschi.
4. C'è stato un ribaltamento per il quale i titoli del debito pubblico italiano sono passati in grande parte da mani ed istituzioni estere a mani ed istituzioni italiane, tagliando così molte creste speculative. L'Italia non ha insomma ancora vinto la sua battaglia e il fatto che non sia arroventata dalla febbre da spread dice qualcosa (ripetiamo, di buono) ma non è una garanzia per il futuro esattamente come la stabilità politica, considerata per se stessa e non come rampa di lancio per scelte di politica economica forte, non garantisce né il controllo della finanza pubblica né la crescita del Paese.
Il lavoro da svolgere, sia all'interno che in Europa, è molto impegnativo. L'economia reale è ancora a terra, la caduta del credito forte, la disoccupazione alta, il disagio sociale forte. Una prima scadenza (in vista peraltro di una sostanziale verifica della Commissione Europea in calendario a febbraio dopi i rilievi mossi sulla Legge di stabilità) riguarda la messa a punto del "Contratto di programma" base per l'azione del Governo Letta nei prossimi mesi.
Con l'accelerazione voluta dal nuovo leader del Pd, Matteo Renzi, dire che è un passaggio decisivo è un'ovvietà. Meno ovvia la sua conclusione. Dopo i passi falsi di fine anno, il Governo, se davvero vuole dare una scossa positiva, non può che ripartire da dove aveva finito il 2013: revisione della spesa e taglio della pressione fiscale su lavoro e impresa. E' dall'effetto combinato di queste due manovre -con il ripristino del meccanismo automatico che assegna le maggiori risorse alla riduzione del cuneo fiscale- che può derivare una sforbiciata vera della tassazione.
E poi c'è il lavoro in Europa. Serve a poco, nei fatti, celebrare in anticipo "le magnifiche sorti e progressive" del semestre europeo a guida italiana che scatta il primo luglio, dopo quello della Grecia, caricandole di aspettative non realizzabili. Piuttosto, nell'anno delle elezioni continentali che di sicuro segneranno un'avanzata del fronte eurocritico, la strana coppia Grecia-Italia (accomunata dal detenere i due debiti pubblici più alti d'Europa) potrebbe impegnarsi da subito per tessere assieme a Spagna e Francia una tela politica nuova, capace di interloquire con la Germania.
Romano Prodi ha prospettato un Club Med che giochi all'attacco per un'Europa politica ed economica diversa da quella che abbiamo sotto gli occhi. Ma bisogna fare goal a Bruxelles con i fatti.
guido.gentili@ilsole24ore.com
@guidogentili1
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