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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2014 alle ore 06:41.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:40.

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Diego Della ValleDiego Della Valle

Diego Della Valle è a Milano per la presentazione di Tod's durante le sfilate uomo. È entusiasta se parla di made in Italy, artigianalità, filiera tessile-moda, del nuovo spirito di collaborazione tra istituzioni e imprese del settore. Vien da pensare che sia diventato ottimista sul futuro del Paese. Ma non è così.

Il nostro Paese ha ancora molti punti di forza, a sentire lei. La ripresa è vicina?
Si allontana ogni giorno di più. Abbiamo un orizzonte temporale molto limitato, direi un paio di mesi al massimo, per introdurre quei cambiamenti di sistema che possono salvare il Paese. I politici attualmente al Governo devono dimostrare in questi due mesi di saper fare, dopo aver promesso e dopo essersi proposti come la generazione del tanto, troppo, atteso cambiamento. In caso contrario, devono andarsene. Sento parlare di fine del tunnel, ma la porta che divide la crisi dalla ripresa resterà aperta per poco: noi imprenditori, noi cittadini, dobbiamo mettere un piede nello stipite di quella porta e impedire che si chiuda. I politici da soli non sono in grado, è evidente.

Perché parla di pochi mesi?
Perché le aziende, soprattutto le piccole e le medie, sono allo stremo. Il 2013 è stato un altro anno pesantissimo e i bilanci, con relativo reale conteggio dei danni, si chiuderanno entro marzo: allora le aziende capiranno quanto ancora fragili siamo i loro conti e quanto limitata la capacità, ad esempio, di fare nuove assunzioni. Senza creazione di lavoro i consumi non si rilanciano e il Paese non riparte. Ma siamo davvero in un circolo vizioso, perché anche chi ha ancora voglia di fare e idee si scontra con il credit crunch.

Gli ultimi dati del Centro studi di Confindustria parlano chiaro: i prestiti alle imprese sono calati del 10,5% dal settembre 2011, cioè di 96 miliardi. Il problema tocca da vicino anche il suo settore (si veda Moda24 del 10 gennaio). Vuole fare l'ennesimo appello?
Sono stanco, ma lo farò. Ho criticato banchieri come Giovanni Bazoli, Giuseppe Guzzetti e altri ancora, e sono stato a mia volta criticato, duramente, per averlo fatto. Non si vuole capire che non è una questione personale. Le banche devono tornare a fare le banche, cioè ad ascoltare le esigenze di credito del territorio e in particolare delle imprese. Una volta questo ruolo le casse di risparmio, ad esempio, lo svolgevano egregiamente. Gli artigiani e i piccoli imprenditori chiedevano un appuntamento con il direttore della loro banca, portavano in dote la loro reputazione di persone serie e oneste, idee e visione. Mio padre ha gettato le basi per il gruppo Tod's così.

Lei che cosa proporrebbe?
Propongo di ricavare un ufficio in ogni banca per i direttori andati in pensione o magari prepensionati per fare spazio a giovani preparati ma non esperti. Ridiamo loro un ufficio e la possibilità di incontrare chi chiede un prestito per ampliare la propria attività. Attenzione: non sto dicendo che i moderni sistemi di valutazione della solvibilità di un'impresa siano da buttare, ma che si è perso il contatto tra le persone e che si è affidato a computer e persone con mentalità più asettica un compito che ha bisogno anche di una forte sensibilità personale.

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