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Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2014 alle ore 06:42.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:41.

Battere i pugni sul tavolo, con la Cina, serve a ben poco quando l'obiettivo è quello di attirare nuovi investimenti in Italia. Ogni occasione è buona, tuttavia, per far chiarezza sulle regole del gioco e sottolineare ai partner cinesi le anomalie che impediscono alle imprese straniere di lavorare in Cina senza cadere nelle trappole della concorrenza sleale. «Abbiamo cominciato a investire all'estero in maniera sistematica», dice il viceministro del Mofcom, Zhong Shan, che conosce bene il nostro Paese e le sue dinamiche industriali, «anche in Italia faremo la nostra parte».

Bene. Proprio per questo, in omaggio alla reciprocità dei rapporti economici, la Cina deve superare il vero tallone di Achille del suo sistema industriale: l'enforcement, l'implementazione effettiva delle regole condivise. Come ben sanno, peraltro, le stesse aziende cinesi. Proprio oggi l'Unione europea lancia ufficialmente a Pechino il nuovo Eu-China Cooperation Action on Intellectual Property. Un segnale che la strada da fare insieme è ancora tanta.

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