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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2014 alle ore 07:34.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:41.

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«Milano è una città provata dalla crisi. In Via Padova 36, l'indirizzo che dà il nome al nostro progetto di housing sociale, ci saranno venti appartamenti a prezzi calmierati per italiani e stranieri. Più un pensionato. E dei negozi etnici. Per costruirlo, servono sei milioni di euro. Oggi non sono pochi. Come li potremmo trovare? Il social bond è una buona opzione».

Maria Grazia Campese, presidente della Cooperativa Spazio Aperto Servizi (gruppo Cgm), cita uno dei luoghi simboli della Milano dell'immigrazione - italiana e straniera - e ricorre al vocabolario anglicizzante - il tecnicismo del social bond - per descrivere un progetto che cerca di calare gli strumenti finanziari più sofisticati nella realtà italiana. Nel progetto di Via Padova 36 il gruppo Cgm ha come partner la Fondazione Cariplo, la Fondazione Housing Sociale e il Fondo Immobiliare Polaris. La giovane dirigente del Terzo Settore ha in mente di provare a farlo rientrare nel finanziamento a medio-lungo termine a favore di Cgm, "collaterale positivo" di un social bond da 17,5 milioni di euro collocato da Ubi Banca a novembre.
La comunità nazionale, esausta ma non annichilita dalla durezza economica e morale della recessione, prova a percorrere nuove strade, di fronte a uno Stato e a una amministrazione pubblica che ogni giorno hanno minori risorse e che soprattutto hanno esaurito ogni rivolo di forza progettuale. «In questo caso - osserva Campese, allieva del teorico dell'economia civile Luigino Bruni - il social bond è l'adattamento alla nostra realtà del social impact bond anglosassone».

Nel contesto anglosassone - dove questo strumento è fiorito negli ultimi cinque anni - il pivot del social impact bond è un ente pubblico. L'obiettivo è la realizzazione di un programma in grado di generare risparmi per la collettività. L'intermediario finanziario identifica gli investitori interessati a sottoscrivere il prestito obbligazionario, il cui rendimento è collegato al raggiungimento dei risultati sociali previsti. Niente riduzione del ritorno al crimine dei carcerati, quando escono di prigione? Nessun aumento del tasso di occupazione? Niente rendimenti.
Diversa la versione italiana. Da noi prevalgono una mentalità avversa al rischio finanziario e una struttura socioeconomica - e anche psicologica - bancocentrica. In questo caso il social bond è un prestito obbligazionario emesso dalla banca in cui il rendimento è garantito e non è, in alcun modo, collegato al conseguimento di obiettivi. Il sottoscrittore sa però che una quota della cifra raccolta dalla banca, tipicamente fra mezzo punto e un punto percentuale, finisce a titolo gratuito a una realtà specifica. Oppure sa che, alla raccolta obbligazionaria, è connessa l'intenzione di attivare un plafond di prestiti a un ente particolare o a tutto il Terzo Settore.

Nel nostro Paese il mercato dei prestiti obbligazionari a sfondo sociale sta crescendo. La fine dell'anno scorso è stata vivace. Intesa Sanpaolo ha emesso a dicembre il primo titolo obbligazionario "serie speciale Banca Prossima", 50 milioni di euro a cinque anni destinati a finanziare - tramite appunto Banca Prossima - realtà del non profit laico e religioso a tassi agevolati. Su 50 milioni la raccolta effettiva è stata di 40 milioni. Il sottoscrittore ha rinunciato a un punto rispetto a un analogo bond di Intesa, sapendo però che il denaro sarebbe andato in prestito a realtà del Terzo Settore con un tasso inferiore dell'1,2% rispetto allo standard. «Il gruppo - sottolinea l'amministratore delegato di Banca Prossima, Marco Morganti - ha autorizzato emissioni sociali per altri 260 milioni di euro. Nella versione italiana dei social bond, preferiamo l'opzione più universalista: tanti soldi raccolti, tanti a tutto il Terzo Settore. In questi primi giorni dell'anno abbiamo già attivato linee di credito per 5 milioni di euro. Sa quale è la percentuale di sottoscrizione da parte di semplici cittadini? Il cento per cento. Sono 2.650 italiani, tutte persone comuni. E sa, su 40 milioni, quanti sono stati sottoscritti al Sud? Undici milioni».

Nello scorso novembre la Cassa di Risparmio di Rimini ha emesso un bond a favore di San Patrignano, 15 milioni di euro a tre anni, lo 0,6% dei quali (90mila euro) destinato a costruire nuove residenze per l'accoglienza. A ottobre dell'anno scorso, San Patrignano aveva già beneficiato di un social bond da 20 milioni di euro a due anni emesso da Ubi Banca, che ha dato a titolo gratuito alla comunità lo 0,5% (100mila euro) per rifare il suo canile e per sviluppare un programma di pet therapy.
Il gruppo Ubi Banca è, in Italia, l'istituto che ha il progetto sui social bond più strutturato. Finora ne ha collocati 41, per un controvalore di 437 milioni di euro. I contributi a titolo di liberalità sono stati pari a due milioni e 188mila euro. Due emissioni sono state collegate all'attivazione di specifiche linee di credito. Su 41, 24 sono andate sul mercato nel 2013. Un numero non troppo dissimile è previsto per quest'anno. «Abbiamo avviato queste attività per primi già due anni fa - nota Victor Massiah, consigliere delegato di Ubi Banca - chiudendo sempre le sottoscrizioni in anticipo rispetto ai tempi stabiliti. E, questo, testimonia il forte coinvolgimento dei cittadini verso iniziative innovative di partnership pubblico-private, in grado di sostenere progetti concreti di sussidiarietà».

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