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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2014 alle ore 07:37.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:41.

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Di questo passo, tra molte chiacchiere e ancora più indecisioni su riforme e tagli alla spesa, la discesa agli Inferi dell'Italia nell'eurozona, più che un rischio, appare una scelta quasi scientifica. Ormai però in perfetta solitudine. Non a caso, in un incontro a porte chiuse a Strasburgo il presidente della Commissione, Josè Barroso, ha richiamato il nostro paese al «coraggio delle riforme, senza le quali non può poi lamentare l'assenza di crescita e di lavoro».

Fino all'altro ieri ci si poteva illudere di avere ancora una buona spalla nella Francia riluttante di François Hollande, dopo che Irlanda e tutti i paesi mediterranei avevano capitolato uno dopo l'altro nelle braccia della troika europea, costretti a rigore e drastiche cure dimagranti inseguendo salute dei conti pubblici, competitività e crescita economica.
La favola è finita. Il bastione francese, l'ultimo, è caduto. Già 30 anni fa François Mitterrand aveva dovuto, in pieno disastro economico, affossare il suo «socialismo in un solo paese» insieme all'orgoglio della differenza francese. Alla fine anche il nuovo presidente socialista ne ha seguito le orme arrendendosi all'evidenza: niente riforme, niente crescita.
E così, mentre in Italia si versano a rilento le decine di miliardi di arretrati di pagamenti dovuti alle imprese (16,3 miliardi sui 47 concordati e i 100 totali), sul cuneo fiscale ci si ferma ai gesti simbolici, di sburocratizzazione, semplificazioni, efficienza di pubblica amministrazione e giustizia civile, riforma del mercato del lavoro si parla molto ma si decide poco, in Francia si cambia musica.

Lo spartito è quello del «patto di responsabilità». In cambio del loro impegno a creare occupazione, Hollande annuncia 30 miliardi di tagli agli oneri sociali delle imprese, promette riduzioni delle imposte societarie, meno pastoie burocratiche e alleggerimento della normativa sul lavoro. Niente di nuovo, invece, sui tagli alla spesa pubblica, che però sono già di 15 miliardi quest'anno e di altri 50 nel triennio successivo.
La Francia riparte dalla competitività delle imprese perché, avverte Hollande, «è imperativo ritrovare la forza della sua economia senza la quale il paese non può mantenere la propria influenza in Europa e nel mondo» e perché «se le aziende non producono ricchezza, non c'è niente da redistribuire».
I Paesi in quarantena, intanto, entrano in convalescenza. Grazie alla riforma del mercato del lavoro, la Spagna torna a crescere e ad attirare investimenti, ha ricordato ieri Barroso davanti all'europarlamento, il Portogallo ritrova dinamismo e riassorbe disoccupati, l'Irlanda finanzia il debito a lungo termine sui mercati al 3%, cioè a tassi inferiori a quelli dei Paesi che non hanno chiesto aiuti Ue, perfino la Grecia dovrebbe tornare quest'anno allo sviluppo.

Certo, la crisi dell'eurozona non è finita. La ripresa economica che si profila resta incerta e fragile, La stessa locomotiva tedesca perde colpi, se è vero come è vero che l'anno scorso è cresciuta della metà (+0,4) rispetto al 2012. Nessuno, quindi, è al riparo da nuove riforme. Ma il processo di risanamento e di convergenza interna nell'euro avanza e comincia a produrre risultati positivi. Il "new deal" francese lo accelererà e porrà anche le basi per riassorbire l'eccesso di divergenze economiche franco-tedesche e di qui per ricostruire un'intesa politica vitale per il futuro dell'Europa.
L'Italia non può ostinarsi a restare alla finestra: ogni giorno di più le riforme strutturali rimandate, la mancata modernizzazione dello Stato e dei suoi apparati, del mercato del lavoro come del fisco appaiono opportunità di crescita e di occupazione bruciate sull'altare di una miopia politica imperdonabile. Che distrugge l'industria, brucia il lavoro, desertifica il Paese e il suo futuro.

Se l'ha capito anche Hollande che la crescita nel mondo globale non si fa con il dirigismo e i decreti keynesiani ma rivitalizzando attività produttiva, economia reale e fiducia e smagrendo lo Stato, possibile che in Italia non si riesca a fare altrettanto e presto? Siamo troppo grandi per fallire ma anche troppo grandi per essere aiutati. Però senza crescita il nostro debito diventerà insostenibile. O ci decidiamo ad agire o prima o poi saranno gli altri a costringerci a farlo.
Ps. Non guasta ricordare che dalla nascita dell'euro, cioè dal 1999 a oggi, l'Italia è l'unico paese che ha visto calare il suo Pil pro capite (-3%). In Germania è aumentato di più del 20%, In Francia quasi del 10. Perfino in Grecia è salito del 3 per cento.

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