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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2014 alle ore 11:34.
L'ultima modifica è del 20 gennaio 2014 alle ore 14:44.

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Nella terra dove sono nati agnellini a due teste e pecore a cinque zampe, è morto il «cavaliere solitario» che sfidava lo strapotere delle ecomafie. Non un generale, non un graduato di qualche importante Corpo dello Stato, carico di medaglie e stellette, ma un semplice maresciallo della polizia municipale. Come quelli di una volta, occhio fino e cervello sveglio. Michele Liguori ha trascorso un'esistenza a dare la caccia ai «signori dei veleni» che hanno intossicato la sua città, Acerra, nel Napoletano.

Prima ancora che lo slogan della «Terra dei fuochi» facesse breccia nell'opinione pubblica, diventando materia da talk-show e di tardivi atti d'accusa da parte di chi, come il pentito Carmine Schiavone, in quel sistema c'è cresciuto e s'è pure arricchito, Liguori se ne andava a scrutare le campagne brulle e i terreni invasi dalle sterpaglie e le discariche camuffate per segnalare, indagare, sequestrare, arrestare. Conosceva ogni centimetro quadrato dell'area ammorbata dai fumi densi e scuri che si levano come colonne al cielo. La sua è stata un'azione di contrasto senza tregua.

Solo che, a forza di praticare respirazioni bocca-a-bocca a quella terra malata, per farle riprendere ossigeno e colore, alla fine s'è infettato pure lui. Nel maggio scorso, gli sono stati diagnosticati due tumori. Nel sangue i medici hanno riscontrato «eccessi di policlorobifenili Pcb 118 e 126», formula da laboratorio per dire che tra le piastrine e i globuli rossi del buon Michele scorrevano le stesse sostanze che hanno assassinato i Regi Lagni e le colture di Acerra, contagiando pastori e contadini, impiegati e bambini, animali e macellai.
Era il «capo» del nucleo di polizia ambientale della municipale del suo Comune, anche se per lunghi anni ne è stato unico componente. Se ne andava a fare i sopralluoghi, giorno e notte, con la moglie e il figlio per non destare sospetti. Lo attendevano in auto, spesso. E ancor più spesso lo accompagnavano nelle passeggiate a piedi nelle terre di nessuno dove gli imprenditori collusi con la camorra hanno riversato migliaia di tonnellate di rifiuti speciali, approfittando di un sistema di controlli sostanzialmente inesistente.

Grottareale, Pantano, Seminario, Frassitelli, Pietrabianca sono i nomi delle località battute e rastrellate da Liguori. Lastre di eternit, materiali bituminosi, scarti di lavorazione industriale ed edile hanno riempito pagine e pagine di verbali di sequestro. Un giorno, il maresciallo che lavorava come un battaglione se ne andò in un terreno di proprietà della Regione Campania convinto che non ci fossero steccati o limiti all'impudenza delle ecomafie. Aveva ragione. Nella contrada Marchesa, le ruspe della criminalità organizzata erano andati a sotterrare metri e metri cubi di plastica, gomma, residui di metalli ferrosi. Quando li avvisarono del ritrovamento, a Palazzo Santa Lucia, caddero dalle nuvole: ma come, anche nei nostri suoli?
Tanto attivismo gli procurò più guai che benefici: non avanzò di grado e qualcuno pensò pure che lo facesse per pubblicità, nonostante il Maresciallo fosse ben cosciente che le operazioni non erano frutto di un lavoro di squadra, che anzi si era assottigliata fino a sparire, ma del suo solo caparbio intuito. Lasciava che la politica facesse bella figura coi suoi sforzi, non chiedendone mai liquidazione.
Gli avvelenarono i cani, una notte. Doveva essere un segnale per indebolirlo, fargli paura. Lo fecero arrabbiare di più.

Poi improvvisamente lo trasferirono a fare il piantone nel Castello Baronale, per un paio di anni. Misteri della burocrazia e degli ordini di servizio. Quando ritornò in strada, nella savana di rifiuti, si mise daccapo a fiutare le tracce lasciate dagli avvelenatori ma intanto il veleno s'era insinuato nei polmoni e negli organi vitali.
E pure quando ha scoperto di essere condannato a morte certa, a 59 anni, non ha smesso di lottare. Cercava soprattutto i ragazzi, i più giovani, instancabilmente. Per insegnare loro l'importanza di difendere la propria terra. Che era quella – amava ripetere – che aveva ereditato dai suoi genitori e che si vergognava di lasciare, così com'era, stuprata e moribonda, a suo figlio. Un po' come quei vecchi indiani d'America che al tramonto o all'alba diventavano tutt'uno con Madre Terra. Più che un eroe in divisa, come oggi tutti con scarsa fantasia si affrettano a definirne la vita e l'esperienza, Liguori è stato un «pellerossa».

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