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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2014 alle ore 18:40.
L'ultima modifica è del 21 gennaio 2014 alle ore 13:07.

«E allora organizziamola questa cosa! Facciamola grossa e non ne parliamo più». Così, lo scorso16 novembre, Totò Riina si rivolgeva al boss pugliese Alberto Lorusso condividendo con lui l'ora d'aria nel carcere milanese di Opera.

Il capo di Cosa nostra sta parlando di Nino Di Matteo, il pm che lo ha portato alla sbarra insieme a politici ed ex ufficiali dell'Arma, con l'accusa di aver trattato, più di vent'anni fa, per porre fine alla strategia stragista. L'intercettazione è stata depositata agli atti del processo oggi pomeriggio.

Nonostante l'età, Riina ha 83 anni, e la detenzione iniziata ormai 21 anni fa, Riina dimostra di essere ancora perfettamente lucido, e mantenere immutati i propri propositi sanguinari. Così, parlando sempre di Di Matteo, il padrino corleonese dice: «Vedi, vedi si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce». «Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo... Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari».

E Riina, aggiornato in tempo (quasi reale) da Lorusso, apprende della richiesta di testimonianza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al processo sulla trattativa. Lorusso lo informa che le tv rilanciano le dichiarazioni del vice presidente del Csm (Vietti) e di altri politici che ritengono che il capo dello Stato non debba testimoniare. Riina approva: «fanno bene, fanno bene... ci danno una mazzata... ci vuole una mazzata nelle corna... a questo pubblico ministero di Palermo». Al che Lorusso dice: «sono tutti con Napolitano dice che non ci deve andare. Lui è il presidente della Repubblica e non ci deve andare». Riina afferma: «Io penso che qualcosa si è rotto...».

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