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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2014 alle ore 11:18.
L'ultima modifica è del 23 gennaio 2014 alle ore 14:48.

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Niccolò Ghedini e Silvio Berlusconi (LaPresse)Niccolò Ghedini e Silvio Berlusconi (LaPresse)

Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, e i suoi avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo sono stati iscritti nel registro degli indagati della procura di Milano con l'ipotesi di reato di corruzione in atti giudiziari. Con loro sono indagate altre 42 persone che hanno testimoniato nei processi Ruby e Ruby-bis. Si apre così il terzo atto dell'inchiesta nata dalle rivelazioni della minorenne marocchina Karima El Marhoug sulle serate a luci rosse nella residenza di Arcore dell'ex presidente del Consiglio, sul quale pende ora una nuova, pesante grana giudiziaria.

Berlusconi è stato già condannato in primo grado, nel giugno scorso, a sette anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per concussione e prostituzione minorile. Ed è anche un pregiudicato, per via della condanna definitiva a quattro anni per frode fiscale sui diritti tv Mediaset.

L'annuncio dell'avvio della nuova inchiesta è stato dato dal procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, che ha parlato di un «atto dovuto». La nuova indagine nasce infatti dalla decisione di trasmettere alla procura gli atti dei processi Ruby e Ruby-bis, decisione presa sia dai giudici della quarta sezione penale che lo scorso 24 giugno hanno condannato Berlusconi a sette anni, sia dai giudici della quinta sezione che il 19 luglio hanno condannato Emilio Fede e Lele Mora a sette anni di reclusione e Nicole Minetti a cinque nel processo Ruby-bis.

Dalle motivazioni dei due processi si ricavano i reati ipotizzati ai 45 indagati dell'inchiesta Ruby-ter. La corruzione in atti giudiziari viene ipotizzata per Berlusconi, Ghedini, Longo e per tutti i partecipanti alla riunione del 15 gennaio 2011, giorno in cui l'ex presidente del Consiglio e i suoi due avvocati convocarono ad Arcore tutte le ragazze che erano state oggetto il giorno prima di una perquisizione domiciliare negli appartamenti di via Olgettina a Milano. «In seguito a questa riunione - scrivevano i giudici nelle motivazioni della sentenza Ruby-bis - tutte le ragazze, testimoni del nostro processo, iniziavano a percepire almeno la somma di 2.500 euro al mese ciascuna». E tutte le ragazze pagate da Berlusconi - sottolineavano ancora i giudici - «rendevano al processo dichiarazioni perfettamente sovrapponibili, anche con l'uso di linguaggio non congruo rispetto alla loro estrazione culturale». Per questo i giudici avevano disposto «la trasmissione degli atti alla procura per quanto di competenza, essendo ravvisabili in tali attività indizi del reato di corruzione in atti giudiziari, sia antecedente che susseguente», un reato punito con la reclusione da quattro a dieci anni (articolo 319 ter del codice penale).

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