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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2014 alle ore 18:32.
L'ultima modifica è del 27 gennaio 2014 alle ore 10:28.

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Buenos Aires ha mostrato nei giorni scorsi tutta la sua debolezza, tornando a occupare il centro della crisi finanziaria internazionale. Il peso ha perso il 11% del suo valore sul dollaro solo giovedì, il maggior ribasso registrato negli ultimi 12 anni, il 18% da inizio anno, dopo un 2013 in cui la moneta argentina aveva perso il 24% sul biglietto verde.

Nessuno crede che la svalutazione del peso e le vendite di dollaro da parte della Banca Centrale per frenare il crollo della valuta sia terminato con il fine settimana e tutti guardano alla riapertura dei mercati, domani, per capire se e come la crisi potrà continuare. A complicare il clima internazionale, i segnali di debolezza dei paesi emergenti a seguito di una corsa durata anni: dalla possibile contrazione della produzione cinese all'instabilità della lira turca e del rand Sudafricano.

Per questo partono messaggi dal governo di Buenos Aires, alla direzione dei mercati. Il ministro dell'Economia Axel Kicillof, in un'intervista al quotidiano pagina 12, dice che iIl governo argentino considera adeguato il tasso di cambio di 8 pesos per un dollaro. "Il livello è ora adeguato - ha affermato - vogliono portarci a 13, cosa che avrebbe un effetto devastante sulla produzione, l'occupazione e i salari" del paese. Il ministro ha nuovamente puntato il dito contro "il settore finanziario del paese e alcuni settori dell'economia", colpevoli di aver creato da anni un mercato dei cambi illegale per speculare. "Vogliono destabilizzare il governo e dire che il dollaro è a 13 pesos".

Buenos Aires prova a mostrare i muscoli, proprio mentre il finanziere Paul Singer, proprietario del fondo hedge 'avvoltoiò Elliot management chiede all'Argentina, con la quale ha in corso una battaglia giudiziaria nei tribunali Usa sul debito, di negoziare un accordo per poter così tornare ad accedere al mercato dei capitali. Singer, in un'intervista al Wsj online, giudica frutto delle politiche "orrende" del governo in vari campi la tempesta finanziaria che si è abbattuta sul paese. Secondo alcune stime, ha spiegato, il costo extra del paese per indebitarsi, il quale non ha accesso ai mercati dopo il default di inizio 2000, è stato negli ultimi 10 anni "fra i 70 e i 90 miliardi di dollari". Ora il finanziere si augura che la situazione imponga al governo una serie di misure "fra cui l'accordo con i suoi creditori".

Lo scontro tra la forza comunità finanziaria internazionale e la debolezza dell'economia Argentina aveva toccato l'apice nel 2001, quando alla vigilia di Natale il paese andò in defaul, lasciando a bocca asciutta quasi mezzo milioni di sottoscrittori italiani di tangobond. Una lunga ed estenuante battaglia legale si protrae nelle sedi giudiziarie internazionali, nonostante la ristrutturazione del debito di Buenos Aires, che ha portato a un "hair cut", un taglio del valore nominale, di circa l'80% del prezzo dei titoli.

Intanto la presidente argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, si trova a Cuba per un breve periodo di riposo. All'Avana ha pranzato con l'ex "lider maximo", Fidel Castro. Ufficialmente sull'isola per partecipare al "summit" del Celac, che inizierà solo martedì prossimo, il capo di Stato sudamericano era atterrata all'Avana già ieri mattina, per poi 'blindarsì nell'Hotel Nacional insieme alla figlia, Florencia. La Casa Rosada non ha divulgato l'agenda ufficiale del leader di governo, ma i media di Buenos Aires avevano scommesso su una sua visita riservata all'ex presidente cubano.

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