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Questo articolo è stato pubblicato il 31 gennaio 2014 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:54.

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I grandi leader populisti adorano la solitudine, essere unici contro tutti gli altri. A maggior ragione quelli che disprezzano le istituzioni nelle quali, per una contigenza storica, si sono trovati a operare. O quelli che ignorano il significato del termine mediazione.
Per anni in Francia Jean-Marie Le Pen, nostalgico di Vichy e nemico della Repubblica gollista, usò il proprio isolamento come straordinaria arma politica, al pari del suo mentore Poujade.

Più gli altri erano coalizzati contro di lui, più il messaggio del suo Fronte Nazionale arrivava nitido ai militanti e agli elettori. Di solito questo non bastava per andare oltre una certa soglia (fino a quasi il 18 per cento nel secondo turno dell'elezione presidenziale del 2002), ma era più che sufficiente per garantire a un abile politicante un ruolo pubblico di primo piano. Ovviamente Le Pen non si sognò mai di mettere sotto accusa il presidente della Repubblica, che a Parigi è anche il capo dell'esecutivo. Un conto era la polemica politica feroce, un altro il sostanziale rispetto per le istituzioni.
Beppe Grillo invece ha scalato di corsa tutti i gradini di un conflitto senza respiro in cui la politica e le istituzioni si miscelano senza una logica che non sia l'affermazione perentoria, brutale, di una supposta diversità integrale dei parlamentari Cinque Stelle e del loro leader indiscusso. Si dirà che non è la prima volta che le aule parlamentari sono teatro di scontri violenti, anche fisici, tra le fazioni. Lo stesso Quirinale in passato è stato tirato nell'arena, basti pensare al caso Leone negli anni Settanta. Ma era un'altra Italia e un altro mondo. Oggi il Parlamento è svuotato e immiserito, la politica è debole, la stabilità è una pianta preziosa che richiede molte cure e la presidenza della Repubblica costituisce il baricentro di un equilibrio e di un sistema di garanzie al momento irrinunciabili.

Ovviamente Grillo non è Le Pen (padre o figlia) e non è nemmeno Poujade, i quali si sono mossi nel solco di una certa idea della Francia. La cultura dei Cinque Stelle è l'eterno presente del "web" e il loro modo di stare nelle istituzioni riflette la violenza dei "blog". Per loro fare ostruzionismo alla Camera e mettere sotto accusa Napolitano sono iniziative intercambiabili, due facce della stessa medaglia. Non credono nelle istituzioni di cui pure sono parte, non concepiscono il compromesso, il passo indietro. L'isolamento è la loro fede e quando si è soli bisogna puntare sempre verso l'alto perchè ogni incertezza è una sconfitta.
La domanda é: ora che Grillo ha aperto il fuoco contro il capo dello Stato, pur senza alcuna prospettiva di vedere approvato l'"impeachment" dal Parlamento, cos'altro può fare? Ha usato l'arma letale, ma quello che ottiene è solo una grande copertura di stampa. Dopodiché il salto in alto diventa salto nel vuoto.

In ogni caso si capisce quale sia la logica. L'accordo sulla riforma elettorale ha spaventato Grillo, gli ha fatto capire che il suo spazio potrebbe rapidamente restringersi. Renzi punta a inglobare almeno una parte dei consensi "stellati" e il leader populista se ne preoccupa. Nel suo schema il Pd e Forza Italia possono e anzi devono accordarsi (il famoso "PdmenoElle"), ma a patto che non escano mai dall'immobilismo. La sola ipotesi che le riforme facciano un passo avanti lo mette in allarme. Così ha dato fuoco alle polveri. Caos in Parlamento (aiutato dagli errori della maggioranza e della presidenza di Montecitorio), attacco frontale al Quirinale. La scelta del momento è cinica, connessa alle novità sul fronte riformatore. E all'apertura della campagna per il voto europeo.

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