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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2014 alle ore 09:15.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:55.

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Quella pronunciata ieri dal presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario è stata una relazione per buona parte di difesa. Difesa dagli attacchi che Tar e Consiglio di Stato ricevono di frequente. L'ultimo in occasione della sentenza che ha annullato le elezioni regionali del Piemonte, arrivata dopo quasi quattro anni, nonostante la materia elettorale abbia una corsia preferenziale. Lungaggini che Giovannini ha addebitato al fatto che sul giudizio amministrativo si sono innestati un processo civile e uno penale, obbligando il giudice amministrativo a sospendere la causa.

Motivi più che condivisibili. Sta di fatto, però, che le reiterate critiche all'operato dei magistrati di Tar e Consiglio di Stato – che portate alle estreme conseguenze arrivano fino a chiedere la chiusura dell'intera giustizia amministrativa – nascondono un malessere che va preso in considerazione. Una volta, infatti, sul banco degli imputati finiscono le sospensive – indicate come un appesantimento delle procedure amministrative –, un altro le lungaggini dei processi, un'altra ancora le non sempre trasparenti commistioni delle toghe tra attività giudiziaria e altri incarichi extra.
Giovannini ha, tra le righe, ammesso questo pecche. Nonostante i confortevoli risultati in termini di smaltimento dell'arretrato, le sentenze – ha affermato – devono essere più veloci. E sul doppio lavoro dei magistrati l'organo di autogoverno si prepara a varare nuove regole.
Parole che lette in controluce fanno trasparire la consapevolezza che a giocare in difesa si finisce per perdere.

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