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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2014 alle ore 12:11.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:59.

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(Corbis)(Corbis)

Ho provato un moto di sincera solidarietà verso il Presidente Giorgio Napolitano quando ho visto la gazzarra inscenata al Parlamento europeo contro l'euro e contro l'Europa che lo ha costretto a interrompere il suo intervento. Mi è tornata alla mente una scena tristemente simile del 2005 quando la Lega riservò anche a me quel trattamento d'aula. Certe posizioni anti-europee persistono nel loro reiterare slogan e propaganda fuorvianti.

L a costruzione dello straordinario cammino europeo non può fermarsi alla caricatura che ne fanno i suoi oppositori. La complessità inevitabile in un progetto che ha, come suo approdo finale, la composizione di un'unica cittadinanza e un'unica entità politica composta da popoli che non molti decenni fa si sono trovati addirittura in armi come nemici, non può non procedere secondo ritmi non sempre prevedibili e secondo avanzamenti non sempre uniformi.
Resta però una certezza: l'uscita dall'euro sarebbe esiziale per l'Italia (come del resto ha ben documentato, ancora ieri, proprio Il Sole 24 Ore) e chi vagheggia una riedizione delle stagioni felici delle svalutazioni competitive non si rende conto di quanto ciò sia irrealistico e non riproducibile. Il mondo è un altro rispetto a quello dell'Italia della lira: nulla procede più secondo quelle dinamiche e quelle attese. La globalizzazione ha cambiato gli uomini, i popoli e il loro modo di agire, di pensare e, direi, perfino di sperare.

Certo, rimane vero che l'Europa – in attesa di colmare quella che non mi stancherò mai di denunciare come una "zoppìa", vale a dire il completamento dell'Europa politica dopo aver raggiunto l'Europa della moneta – sembra, in questa fase, avere scelto una deriva di arroccamento in scelte di corto respiro volte a dividere gli Stati tra virtuosi e no, in un manicheismo che dimentica la natura solidale e inclusiva del progetto europeo.
Il rigore per il rigore non è mai stato un saggio viatico per la costruzione di un'Europa che fosse realmente dei cittadini e dei popoli. E, ancora una volta, mi trovo in consonanza con le parole usate martedì dal Presidente Napolitano laddove ha chiesto un cambio di atteggiamento nella strategia di sviluppo.
La sostenibilità delle politiche pubbliche va perseguita, naturalmente, ma nulla vieta di adattarla alle situazioni prospettate dalle contingenze della storia che, mai come adesso, con l'impatto devastante avuto dalla recessione, hanno una rilevanza prioritaria per l'azione politica, soprattutto se si tratta di una politica che abbia l'ambizione di guidare le scelte di un intero continente.

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