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Questo articolo è stato pubblicato il 07 febbraio 2014 alle ore 08:02.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:00.

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Domani a Reggio Calabria arriverà il ministro dell'Interno Angelino Alfano, che fra le altre cose deve decidere se prorogare o meno il commissariamento iniziato a ottobre del 2012, quando Reggio fu il primo capoluogo di Provincia a vedersi imporre lo scioglimento di Giunta e Consiglio per infiltrazioni mafiose.

Fra le mani Alfano si troverà la delibera con cui ieri la Corte dei conti ha bocciato il tentativo dei vecchi commissari di evitare alla città il dissesto (come accaduto a Napoli; si veda Il Sole 24 Ore del 5 febbraio), ma ha anche chiesto, in modo deciso e irrituale, di tenere in vita la commissione attuale (arrivata a ottobre scorso) senza cambiarne la composizione.
Intorno ai conti di Reggio Calabria da anni si consumano drammi individuali e collettivi. Tra i primi spicca quello di Orsola Fallara, la dirigente del bilancio comunale morta nel 2010 per aver ingerito acido muriatico al termine di una lunga vicenda di conti truccati che ha portato a processo Giuseppe Scopelliti, allora sindaco e oggi Governatore della Calabria, e i tre revisori dei conti dell'epoca, (giovedì prossimo è in programma la requisitoria del pm, Sara Ombra). I drammi collettivi hanno invece protagonisti diversi: ci sono gli imprenditori piccoli e piccolissimi che aspettano anni per vedersi liquidare una fattura e spesso chiudono prima, travolti dalla crisi di un territorio difficilissimo; i dipendenti della Multiservizi (messa in liquidazione nel 2012 dall'allora sindaco Demetrio Arena dopo che erano state certificate infiltrazioni mafiose fra i soci privati, ma ancora titolare in via provvisoria delle attività) periodicamente occupano il municipio affacciato su piazza Italia in cerca di un futuro che non si intravede; i dipendenti del Comune, invece, rischiano di vedersi chiedere indietro anni di retribuzioni assegnate da contratti decentrati generosi ma fuori dalle regole, e contestati dalla Ragioneria generale dello Stato. Tra democrazia sospesa e casse vuote, Reggio ha rimandato per anni l'appuntamento con un dissesto che oggi sembra inevitabile.

Quanto vale il buco dei conti comunali? Ufficialmente non lo sa nessuno, e già questa mancata risposta azzoppa sul nascere le velleità di qualsiasi «piano di riequilibrio» per riportare i conti in pareggio. Non sono riusciti a capirlo gli ispettori della Ragioneria generale, che per mesi hanno provato a ricostruire un mosaico pieno di tessere mancanti o false, e non lo sanno alla Corte dei conti, che non si fida dei numeri scritti dalla vecchia struttura commissariale autrice del piano bocciato ieri. Il piano di riequilibrio parla di deficit da 110-120 milioni negli ultimi tre anni, ma già per il 2010 la Ragioneria generale aveva proposto una «stima estremamente prudenziale» da 160 milioni, e gli stessi magistrati contabili sottolineano che per misurare il disavanzo reale bisognerebbe pulire i bilanci dalla massa delle vecchie entrate che sono scritte nei conti, ma che nessuno riscuoterà mai. Perché proprio su questo aspetto si concentrano le uniche certezze dei bilanci reggini: il Comune «accerta» (cioè calcola fra le entrate) una serie di tributi e tariffe, ma il loro effettivo incasso è in pratica lasciato alla buona volontà dei cittadini, perché la macchina della riscossione «coattiva» zoppica. Nel 2011, per esempio, secondo la Corte la lotta all'evasione di Ici, Tarsu e qualche altro tributo minore avrebbe dovuto portare in cassa 22 milioni, ma a consuntivo si è fermata a 24.592 euro, lo 0,11% di quanto previsto.

Se le unghie della riscossione sono spuntate, il reddito medio è tra i più bassi d'Italia mentre svetta il tasso di disoccupazione, i pagamenti spontanei latitano, e regalano a Reggio Calabria tassi di riscossione che non arrivano al 50 per cento. Di fronte a questo disastro la vecchia struttura commissariale (formata da un Prefetto e da dirigenti del ministero dell'Economia e dell'Interno) ha proposto un piano che la Corte dei conti giudica «lacunoso» e «incongruente». Il dissesto, concludono i magistrati, «è in atto ormai da troppo tempo», e la sua dichiarazione permetterebbe almeno di bloccare le azioni esecutive dei creditori e salvare il salvabile.

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