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Questo articolo è stato pubblicato il 09 febbraio 2014 alle ore 13:35.
L'ultima modifica è del 09 febbraio 2014 alle ore 16:42.

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La storia in meno di tre righe. All'articolo ("canone") 332, comma 2, del codice di diritto canonico, dove si prevede che "nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti". Tre righe che hanno permesso alla Chiesa di cambiare il corso della sua storia. È passato un anno da quella mattina dell'11 febbraio 2013, quando Benedetto XVI – davanti ai cardinali presenti a Roma riuniti nella sala del Concistoro, per l'avvio della canonizzazione dei martiri d'Otranto – annunciò in latino che a causa del suo «invecchiamento, ingravescentem aetatem», fu la frase-chiave, aveva deciso di rinunciare al ministero petrino.

Erano sei secoli che questo non accadeva nella Chiesa romana, dai tempi del grande scisma d'Oriente. Da quel gesto clamoroso che lasciò il mondo - ma soprattutto la Curia - senza fiato, una serie di eventi eccezionali si sono messi in moto i cui risultati straordinari e inattesi sono sotto gli occhi dell'umanità, a partire dalla presenza in Vaticano di un pontefice, Papa Francesco, che con la sua popolarità planetaria e la forza propulsiva al rinnovamento ha invertito il processo di crisi in atto dentro la Curia e avviato una nuova prospettiva, pastorale e di "governo", che ha schiuso grandi speranze per la base dei credenti e dei preti ma che non è esente da critiche e attacchi velenosi specie da ambienti minoritari di vertice e dai settori più tradizionalisti.

Le dimissioni di Ratzinger, per quanto passate al setaccio, restano uno dei misteri della storia della Chiesa, anche se lo stesso papa teologo ha fatto di tutto per renderle chiare al mondo. Nella Declaratio fu esplicito: per guidare la barca di Pietro in un mondo soggetto a rapidi cambiamenti serve il vigore «sia del corpo sia dell'animo», che disse di non avere più in misura adeguata. Un uomo anziano e con qualche acciacco, certo, ma soprattutto provato dai guai che negli ultimi tre anni avevano contrassegnato la vita dei sacri palazzi, traversata da scandali (primo tra tutti il famoso caso Vatileaks sulla fuga di documenti) e faide tra cardinali. Uno spaccato drammatico di una Curia dilaniata da tradimenti e lotte di potere nel periodo finale del pontificato ratzingeriano, i cui particolari continuano ad affiorare in nuove rivelazioni, come quelle di un libro appena pubblicato in Francia.

Quindi si arriva alle dimissioni: un gesto-chock di una forza dirompente, un colpo di spugna sulle beghe di palazzo, in definitiva un segnale di vigore straordinario da un pontefice tanto profondo quanto incompreso dai più. Ma chi entra da pontefice nell'Appartamento deve anche guidare con mano ferma e con collaboratori fidati una macchina complessa, altrimenti accadono fatti che ne fanno deviare il percorso.
Nelle dimissioni del Papa tedesco, il teologo conciliare messo a guardia dell'ortodossia wojtyliana e fatto salire sulla cattedra di Pietro alla soglia degli ottant'anni, c'è forse tutta la grandezza di Joseph Ratzinger, che con questo gesto ha indicato alla sua Chiesa una nuova strada, tanto nuova da provocare anche critiche aperte e richieste di togliere quel comma 2 del canone 332 introdotto nel 1983 da Giovanni Paolo II, giudicato potenziale focolaio di ingovernabilità.

Un cardinale addirittura parlò del rischio che in futuro qualcuno avrebbe potuto montare una campagna di pressione per le dimissioni. Un altro, portando a paragone l'agonia di Giovanni Paolo II, affermò che si deve restare sulla croce fino al martirio.
La realtà profonda la spiegò lo stesso Benedetto XVI, che tre giorni dopo la rinuncia parlò nell'Aula Nervi affollata di preti romani e in un memorabile discorso a braccio di quaranta minuti parlò del Concilio Vaticano II e della sua reale interpretazione, che è il fondamento della Chiesa moderna. Quello era il vero Ratzinger, dedito a tracciare un solco per la dottrina dei credenti e l'incontro con i non credenti sul crinale tra fede e ragione. Ma le crisi incombevano, i dossier si accumulavano sul tavolo, i cardinali premevano, la politica degli Stati (Italia in testa, all'epoca) pressava, e le sue forze erano sempre più labili, le persone di cui poteva fidarsi veramente erano davvero poche.

Il giorno della rinuncia il direttore dell'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, nell'editoriale "Il futuro di Dio" rivelò che il Papa aveva deciso già da mesi di lasciare, dopo il rientro dal viaggio in Messico e a Cuba. Viaggio in cui, si è poi saputo, ebbe un incidente ferendosi alla testa. Ma gli eventi gravi accaduti dentro le mura – soprattutto la guerra attorno allo Ior e poi l'arresto del maggiordomo, Paolo Gabriele, vicende ancora aperte con possibilità di uscita di nuovi "leaks", come è arrivato a ipotizzare due giorni fa il cardinale Tarcisio Bertone - avevano ritardato le dimissioni. Ma certo un segnale era arrivato a novembre quando Ratzinger, a sorpresa (pare di quasi tutta la Curia) nominò sei cardinali, tutti extra europei: decisione in decisa controtendenza rispetto al concistoro del febbraio precedente, dove erano stati elevati alla porpora ben 22 presuli, in maggioranza europei e membri della Curia.

Una decisione mirata alla "sistemazione" del Sacro Collegio in vista del Conclave.
Gli eventi che sono seguiti alla Declaratio dell'11 febbraio segnano il corso della storia non solo della Chiesa, ma del mondo, vista l'influenza e la forza morale assunta da Papa Francesco in pochi mesi, influenza che produce anche forti disagi in ambienti abituati a una Chiesa sotto scacco, come si vede anche in questi giorni con la relazione dell'Onu. L'agenda pontificia ha cambiato le sue priorità, ma il solco dottrinale tracciato da Ratzinger resta, senza che per questo un papa emerito sia una presenza incombente, come si era sempre temuto in passato pensando alla storia di Celestino V o più semplicemente alla narrazione di Morris West nei Giullari di Dio. Già, perché quando Benedetto disse tre giorni dopo le dimissioni «rimarrò nascosto al mondo» non ci fu neppure uno che pensò che questo non sarebbe accaduto.

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