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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2014 alle ore 08:51.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:04.

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Il difficile parto dell'unione bancaria preoccupa la Banca centrale europea. Che, assumendo la vigilanza unica sugli istituti di credito dell'eurozona a partire da novembre, mette in gioco la propria reputazione. Un fallimento su questo fronte ne farebbe saltare, anche per quello che riguarda la politica monetaria, la credibilità faticosamente conquistata e potrebbe riaccendere la crisi dell'area dell'euro con conseguenze imprevedibili.

È per questo che la Bce chiede con forza che tutti i tasselli vadano al posto giusto e che lo facciano in fretta. Ieri lo ha fatto con ben due interventi dei suoi vertici. Ad attirare la maggiore attenzione è ovviamente il discorso del presidente Mario Draghi a Bruxelles. Ma il consigliere Benoit Coeuré ha potuto permettersi di essere anche più esplicito. «Sarebbe un rischio - ha detto in un'intervista all'agenzia Reuters - iniziare la vigilanza unica senza una prospettiva per il meccanismo di risoluzione (il cosiddetto Srm per gli interventi sulle banche in crisi, sul quale la discussione è ancora in corso, ndr). Sarebbe una situazione molto scomoda per la Bce come supervisore». Le parole di Coeuré contano, perché è lui ora, dopo l'inopinata uscita di scena di Joerg Asmussen, ad affiancare Draghi nei negoziati europei. E quello sull'Srm sconta ancora pesanti divisioni fra i Paesi membri e fra i governi e il Parlamento europeo. Il tempo per decidere, prima che il Parlamento si sciolga in vista delle elezioni europee di primavera, stringe.

D'altro canto, anche una soluzione sull'Srm non sarebbe il toccasana. Resterebbe aperta la questione del fondo unico di risoluzione, con il quale spezzare finalmente la spirale negativa fra debito pubblico e banche. Nell'ipotesi formulata finora, il fondo comune non entrerebbe in azione prima di dieci anni. I tempi vanno dimezzati, ha chiesto ieri Draghi, se non si vuole far perdurare l'incertezza.

In più occasioni, il presidente della Bce ha ricordato che negli Stati Uniti prima si è deciso l'ammontare delle risorse disponibili per intervenire nelle banche, poi si sono condotti gli esami dei bilanci e gli stress test e, come per miracolo, le due cifre hanno coinciso.

In Europa, si è scelta la strada opposta: prima gli stress test, poi la definizione delle risorse. La Bce vuol essere sicura che, quando avrà finito l'operazione trasparenza sui bilanci bancari, non si troverà esposta, davanti ai mercati, senza che le risorse per gli interventi siano disponibili. In caso contrario, la stessa Eurotower potrebbe essere accusata di aver ammordbidito i test e questo vanificherebbe l'effetto trasparenza sulla fiducia. Ma Draghi ieri ha chiesto anche un'altra cosa, e cioè che nei tempi più brevi possibili, cinque anni al massimo, queste risorse vengano da un fondo comune e nel frattempo si possa fare ricorso alle garanzie dei governi dei Paesi membri o a una linea di credito del fondo salva-Stati Esm. Il dubbio sulla disponibilità di un backstop, di una rete di sicurezza, può avere conseguenze fatali. Rifacendosi ancora all'esempio degli Stati Uniti, Draghi ha ricordato che anche lì, dove pure il backstop pubblico della Fdic era chiaro, lo scetticismo sulle sue risorse ha reso più complicato il lavoro. Figuriamoci in Europa, dove ancora tutto appare per aria.

Il doppio intervento di ieri è un segnale chiaro che a Francoforte la preoccupazione esiste che la supervisione venga mandata avanti allo scoperto. Il negoziato europeo delle prossime settimane sarà decisivo. Le indicazioni del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, di essere disponibile a qualche compromesso andranno verificate nella pratica della trattativa finale. Intanto, la Germania ha spedito nel consiglio dell'Eurotower un'esperta di vigilanza, Sabine Lautenschlaeger, che è stata nominata anche vicepresidente del nuovo consiglio di supervisione costituito alla Bce: i timori tedeschi sono oggi rivolti molto più a presidiare l'area delle banche (dove hanno dovuto impiegare ingenti quantità di soldi pubblici in salvataggi più pesanti, in percentuale del prodotto interno lordo, che in qualsiasi altro Paese europeo, il doppio della Spagna, e hanno tuttora problemi non tutti confessati) che non, come in passato, alla lotta a un'inflazione che ora non c'è.

L'unione bancaria dovrebbe avere il doppio obiettivo di rimuovere le influenze della politica nazionale sul sistema creditizio e di spezzare il legame perverso fra debito dei Paesi e stato di salute delle banche. Il raggiungimento dell'uno e dell'altro non è ancora per nulla scontato.
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