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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2014 alle ore 09:30.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:06.

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Proibito accontentarsi. La striminzita risalita del Pil (dell'uno per mille) dopo nove trimestri di caduta (non era mai successo prima) non è da sbandierare. Per almeno tre ragioni. La prima è che il 4° trimestre del 2013 non segna al suo interno una progressione verso l'alto, talché il 1° del 2014 si annuncia pesante. La seconda è che si allarga ancora il divario fra la performance italiana e quella degli altri Paesi. La terza è che, nel viluppo di fattori congiunturali e strutturali che determina l'andamento dell'economia, dietro l'uno per mille non ci sono segni di miglioramento strutturale.

Tuttavia, l'economia vive anche di simboli e la speranza di un futuro migliore è sempre dietro le porte. Se vogliamo trovare un simbolo possiamo accostare il segno "più" davanti alla crescita (si fa per dire) del Pil con l'abbrivio di un Governo nuovo, denso di incognite e di possibilità. Quante sono le probabilità che il segno "più" continui a ornare l'andamento del Prodotto interno lordo? Interroghiamoci dapprima sulle ragioni della fatica della nostra economia.
Sono almeno tre lustri che l'Italia affanna, ma l'affanno si è fatto più grave negli ultimi anni. Il primo dei due grafici mette a confronto l'andamento del Pil, in Italia e all'estero, nel decennio prima della Grande recessione (dal 1997 al 2007); il secondo grafico riguarda gli anni che seguirono quello storico evento (dal 2007 al 2013). Un evento che fu veramente uno spartiacque. Nel primo periodo la performance dell'economia italiana si dipanò senza infamia e senza lode: meglio del Giappone, più o meno come la Germania, alquanto peggio della media Eurozona e soprattutto peggio dell'America. Là dove l'Italia si distacca nettamente dal gruppo (nel senso peggiore) è nel secondo periodo. Facendo 100 l'inizio del 2007 l'Italia cade all'ultimo posto: al primo si conferma l'America, seguita da Germania e Giappone, mentre l'Eurozona arranca, ritrovando a fatica il punto di partenza. Un punto da cui l'Italia è lontana, con il Pil che scende a quota 91.
Che cosa spiega il crollo della nostra economia in questi sei anni? Parlare di austerità sposta semplicemente il problema. Perché c'è stato bisogno di austerità in Italia e non in Germania?
Non molto tempo fa era la Germania a essere considerato il "malato d'Europa" (così l'Economist la definì nel 1999). Ma poi quel Paese seppe avviare un processo di riforme, specie nel mercato del lavoro, che rese l'economia più flessibile. E sindacati lungimiranti accettarono sacrifici in termini di salari e di condizioni di lavoro (basti pensare alle spregiudicate minacce di molte imprese metalmeccaniche di spostare fabbriche nella Repubblica Ceca in assenza di concessioni). Ci fu anche un elemento di fortuna (della Germania) e di sfortuna (dell'Italia). La Grande recessione fece piovere "sui giusti e sugli ingiusti" ma non interruppe la crescita dei Paesi emergenti, che sempre più - ormai coprono oltre la metà del Pil mondiale - facevano da locomotiva e da "ultima spiaggia" per l'export dei Paesi emersi. E l'import degli emergenti aveva bisogno di quei beni capitali in cui eccelle la Germania, mentre l'export faceva concorrenza ai nostri prodotti. Quell'adattamento alle nuove condizioni della crescita mondiale, che alla Germania veniva naturale, è stato ed è faticoso per noi, anche se la creatività dei nostri esportatori continua a vedere molte storie di successo.
Ma la ragione principale è un'altra. Quando l'economia è in ginocchio, come successe a tutti nel 2009, per rimetterla in carreggiata conta soprattutto l'apporto del settore pubblico. E qui conta l'efficienza della Pubblica amministrazione, la rapidità nel rimettere in gioco progetti e stimoli. Una burocrazia che sa solo negare e ritardare, un'organizzazione dello Stato che con le "competenze concorrenti" - portato sciagurato di un federalismo male inteso - si fa nemica dell'intrapresa, ha mantenuto in ginocchio l'economia italiana molto dopo che altre si erano risollevate. Ecco qui una "palude" che vale la pena bonificare.
fabrizio@bigpond.net.au
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