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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2014 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:11.

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Morire per Kiev? Dalla fine di novembre gli ucraini combattono e si fanno ammazzare davvero per l'Europa per entrare in un mondo di democrazia, libertà e benessere. L'Europa ha preso tempo.

Ma di fronte al bagno di sangue, alla violenza delle ultime ore, alla fine si è scossa. Ha dovuto farlo: ieri sono partiti per Kiev i ministri degli Esteri di Germania, Francia e Polonia mentre a Bruxelles si riuniva un Consiglio esteri straordinario per varare caute e ben calibrate sanzioni contro gli oligarchi del regime e gli esecutori materiali della repressione. In sintonia e di concerto con l'America di Barak Obama. Priva da sempre di una seria politica estera comune, l'Europa dunque prova a ruggire indignata anche se, nemmeno in questa occasione, riesce a nascondere profonde divisioni, esitazioni sul filo dei suoi molteplici, contraddittori, eccessivi interessi economici in gioco.

Mosca lo sa, come lo sapeva perfettamente quando di mezzo ci sono state altre crisi: Siria, Bielorussia, Georgia e prima ancora Cecenia. Lo sa tanto bene che in novembre si è comprata l'Ucraina di Yanukovic per 15 miliardi di dollari, lasciando interdetta e a mani vuote l'Europa pronta alla firma solenne di un accordo di associazione con il paese. Ora, con la voce del premier Dmitri Medvedev, rilancia il ricatto finanziario: «La Russia non sospenderà aiuti economici e cooperazione con l'Ucraina, purché mantenga autorità legittime in grado di agire e respinga governi zerbino dell'Occidente».

Parla Medvedev ma il messaggio è di Vladimir Putin, il leader rampante e aggressivo che ha già umiliato senza usare guanti di velluto Stati Uniti e Unione europea in Siria, Iran e dintorni, e che già una volta ha tracciato la linea rossa in quella che ritiene la sua intoccabile zona di influenza. Nessuno tocchi l'Ucraina, ribadisce l'uomo del Cremlino, se non a proprio rischio e pericolo.
Fino a che in gioco c'erano solo le pulsioni europeistiche e democratiche della metà di un popolo alla ricerca di un futuro migliore, l'Europa poteva, più o meno partecipe, restare alla finestra con l'alibi del diktat di Mosca.

Alibi molto comodo, quasi provvidenziale. Come nel caso della Turchia, con la quale peraltro ha iniziato negoziati di adesione, anche in quello dell'Ucraina l'Ue non ha mai sciolto nemmeno con se stessa la prognosi sulle scelte da fare: fin dove estendere i propri confini, con chi e secondo quali criteri identitari? Soprattutto non ha mai elaborato una chiara e solida strategia per i propri rapporti con l'Eurasia post-sovietica. Certo, si è allargata a Est cavalcando le debolezze dell'era Eltsin. Ma la parentesi è chiusa da tempo. La Russia patriottica di Putin è il suo esatto contrario.

A questo punto che carte può giocare l'Europa per indurre Mosca a più miti consigli, ora che una guerra civile rischia di esplodere alle sue frontiere dirette, non quelle lontane della Siria, con tutto il carico di destabilizzazione, ondate di profughi comprese, che si porterebbe dietro? Francia, Germania e Polonia sono impegnate in una mediazione quasi impossibile, perché arriva troppo tardi, gli interlocutori sono diventati irriducibili, Yanukovic è a tutti gli effetti nelle mani di Putin che, in un paese povero e in difficoltà, ha buon gioco a maneggiare i cordoni di una ricca borsa che l'Europa non può o non vuole offrire. Al posto di aiuti, politici ed economici, per ora annuncia sanzioni contro il regime, però prudenti per non rompere con Mosca, sottolinea Emma Bonino. Già, perché stanno a Mosca le chiavi per risolvere la crisi. E perché nessuno in Europa, tanto meno la Germania, ha voglia di subirne i ricatti energetici. Proprio come l'Ucraina.

Come a suo tempo con l'occupazione della Georgia, che cercò di fermare a mani nude, anche questa volta l'Europa potrebbe uscire dalla prova di Kiev con le pive nel sacco e danni collaterali non indifferenti. La verità è che è facile proclamarsi con orgoglio "soft power". Ma quando si intrattengono interessi economici "hard" con un colosso determinato e coriaceo come la Russia di Putin, poi è difficile uscirne a testa alta, blasone immacolato e credibilità internazionale alle stelle.
Morire per Kiev? Non esageriamo per favore.

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