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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2014 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:15.

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Dal punto di osservazione del Sole 24 Ore ascoltare il discorso di Matteo Renzi è un po' una sofferenza. Ti impone, infatti, un duro sforzo per cercare di andare oltre la patina di genericità e individuare le proposte di merito. Una gran fatica per chi è abituato a giudicare sulla base dei numeri e della concretezza. E alla fine un senso di delusione resta: perché nello sfrontato monologo di Renzi le buone proposte non mancano, ma sono declinate attraverso molte semplificazioni e senza la dovuta attenzione (anche nella replica in tarda serata) alla responsabilità di indicare le necessarie, e cospicue, coperture finanziarie.

È certamente una buona proposta quella di affrontare il taglio del cuneo fiscale con un intervento a doppia cifra. Ma qualche dettaglio in più su come farlo Renzi avrebbe dovuto darlo. A cominciare dal significato di "doppia cifra": una cosa è un taglio di 10 punti percentuali (vale 30 miliardi) un'altra un taglio di 10 miliardi. C'è una bella differenza. Sulla copertura, poi, non basta riferirsi genericamente alla «spending review e non solo», perché su questo punto il governo uscente ha di fatto rotto il rapporto di fiducia con gran parte della rappresentanza del mondo del lavoro e dell'impresa. È avvenuto quando, dopo le promesse estive, ci si è accorti che nella manovra le risorse disponibili per il taglio delle tasse per aziende e lavoratori erano poco più che simboliche. Ripetere quell'esperienza oggi sarebbe suicida.

Positivo, ancora di più, l'impegno a pagare «la totalità» dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese. Sarebbe un atto dovuto in un Paese normale. Ma l'Italia non lo è e quindi anche questo impegno, per essere credibile, avrebbe meritato qualche genericità in meno. Renzi parla di «totalità» dei debiti, ma in realtà né lui né il ministro Padoan possono oggi dire quant'è l'ammontare di quello stock. Anche perché il monitoraggio del Mef che doveva essere chiuso a settembre ha prodotto una risposta delle Regioni e degli enti locali talmente lenta da aver accertato per ora solo 3 miliardi sui circa 80-100 miliardi di cui parlano le stime. Perciò, invece di fare riferimento a una presunta «totalità», Renzi avrebbe fatto meglio a rilanciare esplicitamente il già pronto piano Bassanini, che potrebbe permettere di liquidare una tranche aggiuntiva di debiti per 25 miliardi.

Bene anche l'allargamento delle garanzie al credito per le Pmi, così come il piano per l'edilizia scolastica. Anche qui interventi da «miliardi» e mancanza di dettagli. E di verità: perché le modifiche al patto di stabilità interno non sono a costo zero. E se fino ad oggi sono state fatte con grande prudenza non è per illogica follia ma perché la lente dell'Unione europea su questo è molto attenta.

Più complessivamente Renzi ha confermato l'obiettivo di procedere in pochi mesi a riforme fondamentali come il lavoro, il fisco, la pubblica amministrazione, la giustizia, oltre a quella delle istituzioni. Ma nulla di più il premier ha detto sul merito di quelle riforme.

Sul fisco in particolare ha sorpreso, dopo le polemiche sollevate dalle parole del sottosegretario Delrio, la totale assenza di riferimenti alla questione della tassazione dei Bot. Sulla giustizia ottimo il riferimento alla revisione dei Tar e ai tempi della giustizia civile, ma sul penale il richiamo demagogico alle vittime dei pirati della strada è sembrato un tentativo di non parlare dei problemi veri. Sul lavoro poco più di un riferimento - per altro talmente doroteo da risultare incomprensibile - su un «Piano per il lavoro che, modificando uno strumento universale a sostegno di chi perde il posto, interverrà attraverso nuove regole normative, anche profondamente innovative». Cosa ha in mente davvero Renzi? Perché un assegno universale per chi perde il lavoro può valere fino a 30 miliardi, non si può lasciare la questione nella sospensione di una frase tutta da interpretare.

Forse – parafrasando il film di Richard Brooks – «è lo stile di Renzi bellezza, e tu non puoi farci niente». Ma il salto dallo straordinario coagulatore di consensi delle primarie a un presidente del Consiglio che illustra in Parlamento con concretezza e credibilità il suo programma di governo, Renzi non lo ha ancora fatto. L'auspicio è che al di là di una retorica attenta al consenso, i piani operativi per attuare le misure annunciate siano già in fase avanzata. Una speranza, perché questa potrebbe davvero essere l'ultima chance.

@fabrizioforquet
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