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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2014 alle ore 08:27.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:17.

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Sanare il passato, negoziare il futuro. È questa la strada da percorrere oggi per salvare Roma e le altre città che danzano pericolosamente sull'orlo del default. Sanare il passato vuol dire che va affrontata senza tentennamenti e senza ostruzionismi parlamentari la questione dei bilanci vicini al dissesto con un intervento trasparente del Governo e del Parlamento che metta fine allo stato di crisi. Bisogna finirla con la propaganda.

Al tempo stesso, nessuno può pensare che questa sanatoria legittimi o autorizzi i sindaci e i loro consigli ad andare avanti con la stessa musica cantata finora: assunzioni facili, sprechi di ogni genere, arroccamento a difesa della proprietà pubblica delle aziende comunali, disavanzo e indebitamento facile, strutture amministrative fuori controllo, servizi largamente inefficienti e in perdita.

Per questo occorre contemporaneamente negoziare il futuro delle città con un patto stringente e vincolante: i sacrifici non vanno certo chiesti ai cittadini, con l'imposizione di nuove tasse (come l'addizionale Irpef) che continuerebbero a deresponsabilizzare la classe politica locale. Questo è stato ancora una volta il pasticcio che ha rischiato di venir fuori dal Parlamento per il caso Roma. Devono essere i sindaci, invece, a voltare pagina, con un «piano di rientro» e una politica che diano il segno netto di una svolta seria e responsabile. A partire da quelle privatizzazioni delle aziende ex municipalizzate che si impongono in ogni parte d'Italia come una ricetta di uscita dalla crisi politica ed economica, capace al tempo stesso di ridurre il debito dei Comuni, aprire e rivitalizzare i mercati oggi asfittici e protetti della public utilities locali, garantire iniezioni di capitali (italiani e stranieri) freschi e capacità manageriali nuove, ridurre le poltrone del sottobosco politico.
La liberalizzazione e la privatizzazione delle aziende pubbliche locali sono – come ha ben capito il commissario alla spending review Carlo Cottarelli – una ricetta nazionale per far arretrare lo Stato padrone e aprire una nuova stagione di crescita, ma a maggior ragione si impongono là dove i conti comunali sono vicini al default. Il politico e l'amministratore locale devono tornare a ragionare come il buon padre di famiglia. E il buon padre di famiglia, di fronte a una situazione di deficit o di debito eccessivo, mette in campo tutte le azioni e le risorse possibili per riportare la gestione sotto controllo.

Non è più tempo di arroganza e di isteria e bisogna dire che in questa vicenda abbiamo assistito a scenate di arroganza e di isteria da tutte le parti. Se le opposizioni in Parlamento hanno cavalcato il populismo, anche i partiti di maggioranza hanno confermato di non comprendere la portata della crisi, con un Pd che – come ha denunciato Linda Lanzillotta – si è rivelato sia in Parlamento che in Comune incapace di affrancarsi da vecchi retaggi culturali (e non di rado clientelari) e fare concreti passi avanti nella direzione che pure Matteo Renzi sembra voler indicare. Le inopportune parole di ieri del sindaco Marino («Da domenica blocco la città») aggiungono una pagina penosa a una storia sbagliata. L'isteria non è certo la risposta giusta a una situazione drammatica e al populismo che in certi settori parlamentari imperversa. Né alle lotte fratricide che percorrono il Pd. Si dice che il sindaco abbia fortemente irritato il presidente del Consiglio con le sue dichiarazioni: per il "ricatto", certo, per la richiesta di risorse finanziarie, certo, ma forse anche per avergli reso palpabile quanta distanza ci sia fra il Pd che ha in mente e la cruda realtà.

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