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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2014 alle ore 17:52.
L'ultima modifica è del 02 marzo 2014 alle ore 20:12.

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(Epa)(Epa)

E pensare che c'è ancora in giro la fiaccola, che ne sarà delle Paralimpiadi che dovrebbero iniziare a Sochi il 7 marzo? Quando, una settimana fa, i dirigenti del Cio si congratularono con la nuova Russia che li aveva accolti per i Giochi invernali, la crisi ucraina era già esplosa: ma forse nessuno immaginava che Vladimir Putin avrebbe cambiato così rapidamente ruolo. In fondo, per mostrare al mondo quel "volto nuovo" a Sochi - dove è in programma l'estate prossima un G-8 a cui nessuno andrà più - Putin aveva fatto investire al Paese più di 50 miliardi di dollari, e ora li ha buttati via.

Nessun commento, dice il portavoce di Putin Dmitrij Peskov, sulla dura presa di posizione del segretario di Stato americano, John Kerry, che avverte che gli Stati Uniti e i loro alleati sono pronti a isolare il presidente russo di fronte "all'incredibile atto di aggressione".
«Il vero significato della risposta di Mosca alla crisi ucraina - scrive lo scrittore Boris Akunin, uno dei volti più popolari delle proteste di Mosca degli anni scorsi - è nel passaggio da un'autocrazia plutocratica a uno stato di polizia e alla dittatura». Una delle conseguenze della decisione di Putin di intervenire in Crimea potrebbe essere il risveglio di un movimento antigovernativo che il Cremlino sperava di aver soffocato: le ultime condanne dei dimostranti degli scontri del maggio 2012 sono state pronunciate tra l'altro proprio il 24 febbraio, appena chiusi i Giochi invernali.

Domenica mattina i moscoviti sono tornati in piazza. Anche se le tv di Stato - visualizzazione concreta di una cortina ridiscesa tra Russia e Occidente - parlano soltanto dei 20mila che hanno manifestato a favore di quanto avviene in Ucraina, "dove vivono milioni di nostri concittadini". Un "popolo fratello" di cui viene considerata però soltanto una metà. Sul Maneggio invece, davanti al Cremlino, si sono fatti sentire i russi contrari all'intervento militare in Ucraina: cento di loro sono stati fermati dagli agenti Omon anti-sommossa, altra immagine familiare dei giorni delle proteste: l'accusa è di «tentata turbativa dell'ordine pubblico». «Mi vergogno per i carri armati in Crimea - era scritto su un cartello -. Ucraina perdonaci».

Anche altri, più vicini all'orecchio di Putin, non tacciono. Una quindicina dei 65 esponenti del Consiglio per i diritti umani presso il Cremlino ha lanciato sul sito dell'organo consultivo una dichiarazione in cui si chiede di escludere l'uso delle forze armate nella ricerca di una soluzione alla crisi politica interna ucraina. «I problemi dell'Ucraina vanno risolti con i mezzi politici e con la ricerca costante di un compromesso ma non con l'ingresso delle truppe».

La raccolta di firme prosegue mentre su Facebook, ulteriore contributo a questa crisi nata e vissuta attraverso i social network, il "padre" del rock russo Boris Grebenschikov ha formulato come una preghiera: «Voi, che avete nelle vostre mani il potere, ricordatevi del popolo che ve lo ha affidato. Senza questo popolo non siete nessuno. Smettete di imbrogliarlo. Non esiste un problema che non si possa risolvere in modo pacifico. Ci sono sempre decisioni che permettono di evitare la morte delle persone. Guardate lontano: smettete di mettere le persone le une contro le altre, di mentire al vostro popolo per un eventuale guadagno che domani potrebbe portare a delle perdite. Signore, dacci la saggezza di saper comporre le divergenze per una via di pace».

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