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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2014 alle ore 10:24.
L'ultima modifica è del 06 marzo 2014 alle ore 12:27.

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Che il federalismo fiscale si potesse tramutare in aumento delle imposte Il Sole 24 Ore l'ha sottolineato spesso. E ora arriva anche la conferma della Corte dei Conti. Nel corso di un'audizione il presidente Raffaele Squitieri ha sottolineato come dalla sua attuazione si sia registrata «una significativa accelerazione sia delle entrate di competenza degli enti territoriali sia di quelle dell'amministrazione centrale». Se poi si allarga lo sguardo agli ultimi 20 anni c'è un dato che balza agli occhi: in un ventennio le tasse locali sono aumentate del 130 per cento. Nel corso dell'audizione Squitieri ha lanciato anche un allarme sulle società partecipate dagli enti pubblici, «in alcuni casi strutturate in scatole cinesi» con la messa a rischio l'equilibrio finanziario dell'ente «fino a provocarne il dissesto». In coda un pensiero è andato alla presunta stima da 60 miliardi della corruzione in Italia: «È impossibile - sottolinea - stimare la ricaduta della corruzione sull'economia, qualsiasi stima è velleitaria. La corruzione va combattuta ma è impossibile pensare di stimarla. La Corte dei conti non ha mai detto che il fenomeno costa 60 miliardi».

La crescita della pressione fiscale
Non è la prima volta che la Corte dei conti mette in guardia
dai rischi di aumento della pressione fiscale insisti nel processo di attuazione del federalismo fiscale. Questa volta i numeri forniti dalla magistratura contabili sono ancora più efficaci. Nel corso di un'audizione davanti alla commissione bicamerale per il federalismo fiscale il presidente Raffaele Squitieri ha sottolineato che l'aumento della pressione fiscale complessiva è dovuta per 4/5 all'imposizione locale. «La forza trainante sulla pressione fiscale complessiva, passata dal 38 al 44% appare imputabile - ha dichiarato - per oltre i 4/5 alle entrate locali». Tant'è che la loro quota di queste su quelle della Pa nel loro complesso «si è più che triplicata (dal 5,5% al 15,9%)». Con il paradosso che a soffrire di più, per un'incidenza del fisco di fatto più elevata, sono i territori con «redditi medi più bassi ed economie in affanno». Vale a dire il Mezzogiorno.

L'andamento della spesa locale
L'aumento del prelievo locale si spiega soprattutto con l'esigenza delle autonomie di compensare il taglio ai trasferimenti erariali subito nel frattempo. Le manovre di finanza pubblica che si sono succedute dal 2009 a oggi per fronteggiare la crisi hanno imposto alle uscite degli enti locali riduzioni per 31 miliardi, di cui 16 miliardi per effetto di misure di inasprimento del Patto di stabilità interno e oltre 15 miliardi di tagli ai trasferimenti. E i sacrifici non sono finiti qui. La legge di stabilità per il 2014 prevede per il prossimo triennio una riduzione della spesa primaria complessiva degli enti territoriali di oltre 2 miliardi, così da farla scendere in rapporto al Pil dal 14,8% del 2013 al 13,3 del 2016. La spesa complessiva al netto degli interessi, nel biennio 2011-2012, si é ridotta del 4,6 per cento in termini nominali. «Una diminuzione che non ha precedenti negli ultimi sessant'anni», ha rilevato la Corte dei conti.

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