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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2014 alle ore 09:33.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 14:09.

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Tra i molti modi per valutare le riforme in corso e promesse da parte del Governo Renzi scegliamo quello di suddividerle su tre direttrici: quelle istituzionali, quelle sociali, quelle economiche. Se il presidente del Consiglio pensa di affrontarle in simultanea corre molti rischi e soprattutto li fa correre all'Italia. Per questo dovrebbe concentrasi su un tema delegando per il resto.
Le riforme istituzionali. Sono cruciali perché da decenni si tentano senza successo mentre la sola riuscita, quella del 2001 sul Titolo V della Costituzione, è stata un pasticcio. Aver varato alla Camera una nuova legge elettorale che consenta la governabilità di legislatura di una maggioranza certa è già un notevole risultato. Il fatto ulteriore che il Presidente del Consiglio abbia già resa disponibile una bozza di disegno di legge costituzionale "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione" è pure importante. L'Assemblea delle Autonomie che dovrebbe sostituire il Senato andrà meglio definita ma vari punti sono interessanti. Tra questi l'articolo 55 che affida a tale Assemblea il ruolo di verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato e di valutazione dell'impatto delle politiche pubbliche sul territorio. Ancor più l'articolo 117 che ripartisce in modo più chiaro le potestà legislative riportando allo Stato sia la programmazione strategica della ricerca scientifica sia le grandi reti di trasporto tra cui quelle energetiche. Sia infine stabilendo una norma di supremazia dello Stato per esigenze di interesse nazionale.

Il passaggio ad un federalismo funzionale e solidale, che applichi correttamente il principio di sussidiarietà alle Regioni e alla Municipalità, è importante. Così come lo è un processo di semplificazioni dove l'energia di Renzi dovrebbe impegnarsi a fondo.

L e riforme sociali. È un tema molto complesso anche perché non può essere normato com'è il caso delle riforme istituzionali. La società ha una sua mobilità permanente dove le convinzioni contano più delle costrizioni. Nella società si forma quella identità nazionale che alimenta le istituzioni. Qui vi è un enorme lavoro di recupero da fare in Italia per riconciliare la democrazia rappresentativa che si esprime nelle istituzioni con quella partecipativa che vive nella società. L'idea di Renzi di enfatizzare il ruolo della scuola e dell'istruzione è importante ma la via maestra non è quella di visite fugaci a qualche istituto ma quella di rivalutare il ruolo del corpo docente restituendogli quella dignità sociale che ha perso. L'edilizia scolastica conta ma ancor più conta "l'edilizia" civile di insegnanti e studenti motivati. Così come conta molto suscitare già dalle scuole secondarie l'interesse per il lavoro anche per evitare quel nozionismo che stacca dalla realtà. Non stiamo auspicando l'ennesima riforma di facciata bensi la valorizzazione degli organi di autogoverno della Scuola così come della Università. Più in generale sarebbe sbagliato antagonizzare il ruolo sociale ed economico delle forme associative, comprese quelle imprenditoriali e sindacali. In Italia il dialogo e la serietà civile sono essenziali ed in questo le Istituzioni devono sostenere la sussidiarietà orizzontale e il liberalismo sociale.

Le riforme economiche. Renzi con la misura annunciata di una detrazione Irpef per redditi da lavoro dipendente sotto i 25mila euro, così da dare 1.000 euro netti in più a persona a 10 milioni di lavoratori, fa una scelta politica di equità anche se la gran parte delle stime ed i suggerimenti della Commissione europea indicano che, per spingere crescita e occupazione, era meglio la riduzione del cuneo sulle imprese per i contributi e l'Irap.

Il resto, salvo il provvedimento importante sui contratti a termine e su quelli di apprendistato, è rinviato a fine aprile con la presentazione alle Istituzioni europee del Programma di stabilità e convergenza (Psc) e del programma nazionale di riforme (Pnr). La rigidità del fiscal compact non piace neppure a noi ma va rispettata perché è ormai un "rating" per i titoli di stato italiani che vivono (come quelli di altri Paesi periferici) un momento di grazia per molte ragioni e non solo per merito nostro. Le modifiche e altre iniziative si potranno tentare nel 2015 quando la situazione istituzionale della Ue (essendo nel 2014 tutti gli organi in rinnovo) si sarà stabilizzata.

L'Italia deve però agire per ottenere risultati concreti e non per affermare a parole una propria libertà di scelta. Il Governo dovrebbe concentrarsi allora primariamente sui fondi strutturali europei che ancora non abbiamo usato e che dobbiamo impegnare ed usare entro il 2015. Si tratta di 12 miliardi, spettano solo se noi aggiungiamo altri 12 miliardi nazionali. Gli utilizzi possono anche essere parziali ma sempre cofinanziati. Il tutto con destinazioni che possono rientrare nella categoria della innovazione (purché con concretezza di risultati) e delle infrastrutture. Possiamo ancora farcela magari potenziando la Cdp Reti sia con le reti infotelematiche sia creando dentro la stessa una società di ricerca tecnologica, analoga alla Fraunhofer-Gesellschaft, nella quale conferire tutti i i laboratori del Cnr e di enti analoghi che siano in grado di collaborare con le imprese. Unire in questa iniziativa competenze giuridiche europee, imprese e laboratori sarebbe una bella innovazione.

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