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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2014 alle ore 14:01.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 14:14.

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Tra le tante diatribe sulla politica economica del nuovo governo, credo vi sia quasi unanimità su almeno due punti: è necessario tagliare le tasse, ma senza aumentare in modo permanente il debito pubblico, sia per rispetto alle generazioni future sia per evitare il ripetersi di problemi con i mercati.
Questo significa che per tagliare le tasse bisogna tagliare anche la spesa pubblica.

Ma come e quando? Senza entrare nei dettagli, c'è un criterio generale da seguire che è a mio avviso di fondamentale importanza: è necessario cominciare dall'alto.
Come ho mostrato in alcuni studi con Filippo Teoldi su lavoce.info, i dirigenti pubblici italiani guadagnano più dei loro colleghi stranieri. In alcuni casi si tratta di cifre semplicemente scandalose, inaccettabili: un ambasciatore tipicamente guadagna tra i 20mila e i 27mila euro al mese, in media due volte e mezzo l'omologo tedesco; un giudice costituzionale quasi 40mila euro lordi al mese (più numerosi benefit), due volte e mezzo l'omologo statunitense.
Ma anche gli altri dirigenti sono solitamente ben trattati. In media, i dirigenti ministeriali di alto livello guadagnano tra una volta e mezza e due volte i loro colleghi britannici.
I ministeri della Salute e dello Sviluppo economico hanno rispettivamente 125 e 165 dirigenti di seconda fascia, che guadagnano in media 110mila, quanto i 17 dirigenti di prima fascia del ministero dell'Economia britannico.

I 300 dirigenti apicali di regioni e province guadagnano 150mila euro, quanto il capo di gabinetto del ministero degli Esteri britannici. I 2mila altri dirigenti delle province guadagnano 105mila euro. I 7mila altri dirigenti dei Comuni guadagnano poco meno.
Non si può chiedere sacrifici se non si parte da questi dati. Molto semplicemente, è una questione di civiltà. Questo è stato l'errore di tutti i tentativi fatti in passato. E che non si venga a raccontare la solita favola dei diritti acquisiti.
N on c'è scritto da nessuna parte nella nostra Costituzione che gli stipendi dei dirigenti pubblici non possono scendere. Gli ambasciatori protesteranno? Si accomodino: per ogni feluca che decide di andare in pensione anticipatamente, ci sono almeno cento giovani dinamici e preparati che parlano tre lingue e sarebbero felicissimi di rappresentare l'Italia per 5 mila euro al mese.
Il problema potrebbe sembrare diverso per i manager (anziché i dirigenti) pubblici. È senz'altro vero, come dice Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, che alcuni manager di aziende pubbliche avrebbero un mercato alternativo nel settore privato. Ma se si guarda al campione di 29 aziende controllate dal Tesoro, moltissimi manager hanno poca oppure nessuna esperienza nel settore privato, e poca oppure nessuna esperienza nel settore delle aziende che dirigono.

L'amministratore delegato della Consap (società di assicurazione pubblica), Mauro Masi, guadagna quasi mezzo milione; recentemente è stato prima segretario generale alla presidenza del Consiglio di Silvio Berlusconi, poi direttore generale della Rai, ma non ha alcuna esperienza in campo assicurativo. L'amministratore delegato e presidente della Zecca di Stato, Maurizio Prato, ha percepito nel 2012 uno stipendio annualizzato di 750 mila euro, quasi il triplo del suo omologo britannico. È stato presidente di Grandi Stazioni, Fintecna e Alitalia, tutte aziende pubbliche all'epoca della sua carica. Non sono sicuro che ci sarebbe la fila per assumerli, nel settore privato e tantomeno all'estero. Ed è vero, come ha ricordato Mauro Moretti, che il presidente ed amministratore delegato delle ferrovie tedesche prende tre volte il suo stipendio di 850 mila euro. Ma il presidente e direttore generale delle ferrovie francesi guadagna 250 mila euro; e nessun membro del consiglio (alcuni dei quali provengono dal settore privato) può guadagnare più di 450 mila euro. Non risulta che ci sia stata un'emorragia di manager dalle ferrovie francesi, né che queste abbiano una reputazione peggiore di quelle italiane.
Il costo di imporre un tetto agli stipendi dei manager è (forse) di perderne alcuni. Ma il vantaggio è di evitare gli infiniti abusi del sistema da parte dei tantissimi che non hanno né competenze né mercato.
In molti casi, la soluzione dovrebbe essere ancora più radicale: liquidare una volta per tutte i tanti enti pubblici, statali e regionali, che non hanno alcuna funzione, e che alimentano soltanto il sottobosco politico. I risparmi iniziali sarebbero modesti, perché bisogna evitare di licenziare i dipendenti. Ma tra qualche anno i vantaggi, per l'economia e per la società, sarebbero immensi.

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