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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2014 alle ore 11:01.
L'ultima modifica è del 24 marzo 2014 alle ore 13:21.

L'auspicio di una riforma della rappresentanza
Quando gli arriva una domanda sui rapporti tra governo, Confindustria e Cgil, il ministro coglie l'ccasione per auspicare un «cambiamento profondo anche nel mondo della rappresentanza». «Credo - spiega ai giornalisti - che debbano tutti interrogarsi se in questa fase di cambiamento che ha investito l'economia e la società le loro modalità siano ancora congrue, ma questo riguarda i loro associati non il governo». «Il ministro del Lavoro incontra tutti gli esponenti della rappresentanza imprenditoriale e sindacale, poi il governo ha le proprie responsabilità e quando deve prendere una decisione la prende, mi pare un metodo efficace».

80 euro in busta paga? Se ne occupa il Mef
Rispondendo invece alla domanda se gli annunciati 80 euro in busta paga arriveranno con un "bonus" o seguendo la strada delle detrazioni fiscali, Poletti spiega che la questione è in corso di studio al ministero dell'Economia : «io non sono in grado di giudicare. C'é chi lavora al tema generale del fisco, quindi mi pronuncerò se e quando ci sarà una proposta del Mef».

Sul Jobs Act: se ottiene risultati lo teniamo, altrimenti lo cambiamo
Più articolata invece la risposta del ministro sul "Jobs act" appena approvato dal Governo, questa volta ai microfoni di Radio 1 Rai. «La riforma del lavoro voluta dal governo Renzi, ha spiegato Poletti, ha un grande senso pragmatico. Parliamo delle cose, ci occupiamo dei fatti. Una legge non è un quadro appeso alla parete, che va giudicato esteticamente, se è bello o brutto». Una legge, ha aggiunto, «deve produrre effetti: se è scritta bene ma determina danni, è sbagliata. Quindi, partiamo dai fatti, molto difficili, drammatici direi per l'occupazione in questo Paese, cerchiamo di modificare, migliorare le cose senza avere una teoria da dimostrare, ma guardando i risultati. Se sono buoni, la teniamo, altrimenti la cambiamo».

Nessun rischio di demansionalizzare lavoratori a termine
Sempre ai microfono di '"Prima di tutto", il ministro ha minimizzato il rischio che le imprese «possano "demansionalizzare" il lavoratore a termine», quando la riforma del lavoro a tempo determinato sarà a regime. Nella norma, ha rassicurato Poletti, «c'è scritto che il lavoratore debba conservare la propria mansione, poi c'è il limite del 20% dei contratti, che prima non c'era, e poi si parla di "prorogabilità"».

Con nuove norme stabilizzazione più probabile
Con la vecchia normativa, «ogni sei mesi, il lavoratore, giovane o meno, una volta finito il contratto veniva mandato a casa e se ne prendeva un altro. C'era anche prima il limite dei 36 mesi, solo che prima in quell'arco di tempo lavoravano sei persone nello stesso posto». Con l'entrata in vigore del Dl Lavoro, ha spiegato il ministro, è assai più probabile «che alla fine dei 36 mesi venga assunta una sola persona, definitivamente, che magari ha dimostrato il suo valore in quei 36 mesi, piuttosto che uno dei sei che si sono alternati nello stesso periodo».

Sì ai ritocchi, ma mantere impostazione di fondo della riforma
In questo scenario, il ministro si è comunque detto «pronto a correggere la norma, qualora tra 36 o anche soli 12 mesi ci si accorgesse che il ministro aveva torto. Mi interessa che la gente lavori, non l'astratta, teorica efficacia di una norma. Se nell'iter legislativo dovessero manifestarsi, motivandole, esigenze di correzioni e di interventi, il ministro e il governo non hanno nulla in contrario. A patto però che non si cambi l'indirizzo, l'idea che sta nell'impostazione della riforma».

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