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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2014 alle ore 12:59.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 14:56.
I banchieri fanno bene a gestire con prudenza i soldi raccolti dai risparmiatori. Una regola non sempre osservata nel nostro Paese. Fanno bene anche a invocare, nei conciliaboli privati, l'intervento dell'azionista: li vada a chiedere ai Riva, Bondi, i soldi. Perfetto. Nessuno ha mai pensato che l'Ilva dovesse essere scaricata sul sistema del credito. I banchieri non fanno bene, invece, a trascurare il profilo strategico che l'Ilva ha per l'economia italiana. E, soprattutto, fanno male a sottovalutare la caratura sociale e giudiziaria che ha questo caso.
Non si tratta mica di un grande gruppo industriale che ha sbagliato una diversificazione o di una piccola impresa finita in asfissia. L'Ilva è il più grosso affaire – fra capitale e lavoro, diritto e impresa – che si sia verificato nella nostra storia. I banchieri italiani hanno, negli ultimi quindici anni, mostrato una abilità particolare nel finanziare gli imprenditori senza troppe garanzie. E potrebbe essere stato anche il caso dei Riva. Vero? Era il capitalismo di relazione, bellezza. Perfetto. Ora, però, le cose sono diverse. La ritrosia a sostenere adeguatamente anche la finanza di impresa dell'Ilva – nell'epoca del commissariamento – sembra non tenere conto di due cose: non solo il suo carattere strategico, ma anche il quadro di "tutela" statale in cui essa è inserita. Ognuno ha le sue idee sui magistrati di Taranto. Sui Riva. Su Bondi. Tutti ricordino però che l'Ilva, nel suo complesso, è una impresa commissariata dallo Stato italiano. Che non sarà un granché. Ma è pur sempre il nostro Stato. (Paolo Bricco)
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