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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2014 alle ore 14:30.
L'ultima modifica è del 07 aprile 2014 alle ore 17:46.

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CERNOBBIO - La fuga dei capitali dagli emergenti verso l'Europa causata dal tapering della Fed è un segnale temporaneo o di lunga durata? È finita una stagione o è solo un pausa di riflssione? Jim O'Neill, economista britannico ed ex chief economist della Goldman Sachs, a margine del Workshop Ambrosetti, non ha dubbi: sentiremo ancora parlare a lungo dei mercati emergenti. O'Neil è l'inventore nel 2001 del fortunato acronimo Brics (Brasile, Russia, India e Cina), ma oggi ha appena coniato un nuovo termine MINT, i prossimi giganti dell'economia, che sta ad indicare Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia, identificando in queste giovani nazioni le nuove 4 economie emergenti del pianeta. Per spiegare la sua tesi mostra un grafico del Fmi e Edymar projections sulle maggiori economie del pianeta nel 2050 dove al primo posto c'è la Cina, con il 23% del Pil mondiale, al secondo gli Usa (13%), seguiti da India (8%), Brasile (4%), Giappone (3%), Russia (3%), Indonesia (3%), Messico (2%), Gran Bretagna (2%) e al decimo posto la Germania (2%).

I suoi vecchi Bric sono tutti nelle prime sei posizioni, mentre i nuovi Mint, nei primi quindici posti. Questi sono i nuovi punti di forza del mondo e da questo non si può prescindere.

Si parla molto anche del re-shoring, il ritorno della manifattura dall'Asia negli Stati Uniti come un ulteriore motivo di indebolimento dei Paesi emergenti dove i salari sono aumentati negli ultimi venti anni(seppure in termini relativi), la produttività è scesa e l'energia costa a volte troppo cara, rispetto alla rivoluzione tcnologica dello shale gas esplosa negli Stati Uniti.

Nani Beccalli Falco, presidente della Ge Europa invita alla prudenza sul fenomeno del re-shoring, cioè il ritorno a casa degli investimenti occidentali nei Paesi emergenti: «Non è facile disinvestire e tornare in Occidente. Parlerei piuttosto di un nuovo fenomeno, il cosidetto" nearshoring", cioè la delocalizzazione di linee di produzione in luoghi più vicine ai mercati di origine».

Più pessimista sullo stato di salute degli emergenti è la "Cassandra" dell'economia mondiale, Nouriel Roubini, l'economista che predisse la crisi del mutui subprime nel 2007, che ricorda sempre a margine del Workshop Anbrosetti, come «il recente rallentamento dei mercati emergenti con il conseguente calo delle relative monete, è causato da quattro fattori economici: il calo dei prezzi delle materie prime, la frenata del Pil della Cina che potrebbe essere né hard landing né soft landing ma comunque di atterragio si tratta; da squilibri nelle partite correnti e di disavanzi nei conti pubblici interni e da una difficoltà di operare le riforme strutturali nei mercati del lavoro, dei beni e servizi, scelte che sono sempre impopolari ad ogni latitudine».

Bertrand Badré, chief financial officer della Banca mondiale di origine francese, punta il dito sulla necessità di modernizzare la struttura finanziaria dei Paesi emergenti, «un punto chiave per lo sviluppo e per dare la liquidità necessaria all'economia reale e allo sviluppo di infrastrutture, vero volano della crescita». La Cina ad esempio deve migliorare il suo sistema finanziario, dove si nascondono ancora troppi elementi di fragilità nel sistema bancario tutto in mano allo Stato, all'opacita dello shadow banking. Un lungo cahier de doleance che è venuto al pettine, ma che secondo O'Neill non impedirà la ripartenza.

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