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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2014 alle ore 07:45.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:06.

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La conclusione dell'accordo transatlantico per la liberalizzazione del commercio e degli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP) dovrebbe essere una priorità della presidenza europea dell'Italia. Renzi lo ha ricordato dopo l'incontro con Obama a fine marzo. E farebbe bene ad impegnarsi con forza su questo obiettivo.

La firma della partnership (o almeno un'azione di rapido avvicinamento alla firma) sotto la nostra Presidenza avrebbe molti vantaggi, per quanto il negoziato commerciale sia di competenza della Commissione. Permetterebbe di aumentare il reddito potenziale di tutta l'Unione, il che è essenziale per rilanciare la crescita strutturale e riprendere i livelli di reddito pre-crisi. Permetterebbe di ancorare l'azione riformista del nostro Governo ad un processo di rafforzamento del mercato unico e di integrazione economica con gli Stati Uniti. Permetterebbe di rendere ancora più credibile il piano di riforme strutturali dell'Italia e guadagnare più facilmente margini di manovra sul fronte fiscale. Infine, aiuterebbe Obama ad imporre un'agenda di liberalizzazione commerciale al Congresso, al momento piuttosto riluttante su questo fronte.

Partiamo dall'output potenziale. Il principale studio sull'impatto dell'accordo, svolto per la Commissione Europea dal Cepr (Centre for Economic Policy Research) di Londra stima in 120 miliardi di euro annui i benefici dell'accordo per l'Unione (0,5% del Pil) e di 95 miliardi per gli Stati Uniti quando questo sarà a pieno regime nel 2027. Un aumento strutturale e permanente di reddito che in media equivale a 545 euro all'anno per una famiglia europea di quattro persone. Quello del 2027 potrebbe apparire un orizzonte troppo lontano rispetto all'agenda politica del governo e al bisogno immediato di uscire dalla crisi. Non è così, i segnali che un accordo di questo tipo trasmetterebbe al sistema economico avrebbero benefici rapidi.

Infatti gran parte dei benefici deriverebbero dall'abbattimento delle "barriere non tariffarie". In questa oscura definizione si raccolgono cose tipo gli standard fito-sanitari, le regole sulle caratteristiche di sicurezza delle automobili, le procedure per approvare i farmaci ecc. Tutti parametri fondamentali per la sicurezza dei cittadini. Ma in molti casi non c'è motivo per cui debbano essere diversi sulle due sponde dell'Atlantico. L'armonizzazione delle regole porta grandi vantaggi di semplificazione burocratica e permette alle imprese di rafforzare le economie di scala, utilizzando standard identici per i prodotti destinati ai due mercati. Non è la semplificazione burocratica una componente vitale del programma di riforme del governo Renzi? E dunque, ancorare queste riforme ad un progetto globale di integrazione dei mercati non aiuterebbe a superare le resistenze dei gruppi di interesse nostrani? Avremmo infatti un doppio vantaggio: semplificheremmo in casa con standard armonizzati nel più vasto spazio commerciale del mondo. E diventando complessivamente più competitivi, avremmo dunque miglior gioco nella concorrenza con i paesi al di fuori dal patto. Le esportazioni europee verso il resto del mondo aumenterebbero, sempre sulla base delle stime del Cepr, di 33 miliardi all'anno. Un vantaggio di particolare valore per un paese con esportatori competitivi come il nostro.

L'accordo prevede anche liberalizzazione del mercato dei servizi: aperture nel settore dei trasporti; lo stesso riconoscimento delle qualifiche professionali in Europa ed in America; maggiore integrazione nelle telecomunicazioni. Passi fondamentali, che permetterebbero anche di dare una sponda atlantica al mercato unico, accelerando l'integrazione intra-europea dei servizi e di abbassare i costi di fornitura soprattutto nei paesi come il nostro dove sono più alti della media europea. Ancora una volta questo obiettivo è al centro dell'agenda renziana. La competitività dei servizi, oltre ad essere importante in se, ha un impatto rilevantissimo sulla manifattura. Ormai quasi il 50% del valore aggiunto dei prodotti manufatti è in realtà costituito da servizi (che i beni incorporano, ad esempio le assicurazioni o la pubblicità).

Insomma un forte impegno italiano su questa agenda sarebbe strategico a rafforzare il nostro ruolo in Europa e a conquistare maggiori margini di manovra. E un passo rapido dell'Europa aiuterebbe Obama a rinfocolare il consenso politico sull'accordo in America. Al momento la politica oltre oceano, in vista delle elezioni di mid-term a novembre, è in totale stallo. Per approvar il Ttip Obama ha bisogno che gli venga riattivata la corsia preferenziale dal Congresso (fast track). Corsia che impedisce al Parlamento di sindacare sui dettagli dell'accordo, e che concede solo un potere di veto (si o no) su quanto negoziato dall'Amministrazione.
Certo è una partita che richiede coraggio. Le crociate per il libero scambio pestano i piedi a molti gruppi di interesse. L'accordo è complesso e su molti aspetti (ad esempio sulle regole di origine dei prodotti) si stanno già facendo battaglie di frontiera. Ma è anche una partita dove il motto renziano del "ce ne faremo una ragione", ossia la strategia e la volontà di andare diritti alla meta, potrebbe essere molto utilmente speso ed esportato per il benessere di tutta l'Europa.

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