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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2014 alle ore 07:50.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:07.

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«Guardare simili cose in faccia richiede il coraggio di un domatore di leoni». Virginia Woolf non aveva avuto "paura" di scriverlo nel suo saggio Sulla malattia (prima stesura nel 1926 e seconda e definitiva nel 1930). Carlo Emilio Gadda parlava di male «immedicato» nella sua Cognizione del dolore. Due esempi – questi tratti dalla letteratura e citati dal rettore dello Iulm, Giovanni Puglisi – che testimoniano plasticamente come della malattia, e in particolare di quella malattia, sia fin troppo arduo parlare. Il rischio però è scadere nell'ignoranza e nei tabù, nemici mortali della conoscenza e della prevenzione.

Su "Media e cancro" invece, in occasione dei 20 anni dell'Istituto Europeo di Oncologia, protagonisti del mondo scientifico e del mondo dell'informazione ieri a Milano hanno voluto confrontarsi in modo schietto, diretto, affrontando di petto un argomento che colpisce nel profondo tanta, anche troppa gente. A Umberto Veronesi – che dello Ieo è stato fondatore e ora ne è direttore scientifico, affiancato dai condirettori Pier Giuseppe Pelicci e Roberto Orecchia – basta mettere sul tavolo i numeri: «Oggi si ammala di tumore un italiano su tre; 50 anni fa si ammalava uno su 30. Questa è una malattia epidemica, stravolgente». Era il 1981 quando «un articolo in prima pagina sul New York Times cambiò la storia del cancro al seno.

Parlava – aggiunge Veronesi – di un mio intervento mini-invasivo che senza quel pezzo sarebbe rimasto una pubblicazione dimenticata nel cassetto». E invece Veronesi, come i direttori delle testate che hanno partecipato al dibattito, guarda come a una grande conquista il fatto che siano lontani i tempi in cui il "male" non si poteva neanche nominare. Anche perché nonostante l'aumento dei casi di cancro «da 15 anni la mortalità è in costante calo e oggi curiamo il 60-65 per cento dei malati». Non solo: «Il 30% delle pazienti che operiamo allo Ieo hanno un tumore al seno occulto non ancora palpabile, scoperto grazie agli screening». Ecco che la giusta conoscenza diventa un fattore essenziale. Come decisiva diventa la capacità di saper parlare con coscienza, ma anche con cognizione scientifica, di argomenti che toccano le corde più profonde dell'animo umano. Del resto, se la scienza oncologica ha fatto progressi straordinari negli ultimi decenni, senza un cambio della cultura della malattia – ancora segnata dalla rimozione e dalla paura – molti degli sforzi rimarranno vani. «L'informazione deve avere una solida base scientifica e deve sfruttare come moltiplicatore le possibilità che la tecnologia offre attraverso il digitale», ha fatto presente il direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano. «Non è vero – ha poi aggiunto – che in questo Paese non si fa ricerca e innovazione. Quel che è vero è che non si incentiva fiscalmente chi lo fa. Non dimentichiamo che viviamo in un Paese in cui per metà la Sanità è commissariata. E anche qui bisogna cambiare in profondità».

In questo quadro, se è vero che il ruolo dei media è essenziale per la conoscenza, è altrettanto vero che si tratta di un ruolo il cui peso è da far tremare i polsi. Mario Calabresi, direttore de La Stampa, cita il caso Stamina. «Lei vuole togliere le speranze ai malati?» si è sentito domandare dopo le sue critiche e i suoi dubbi su una vicenda approdata poi nelle aule di tribunale. Lo stesso Calabresi ricorda ai tempi di Repubblica l'intervista «in cui Silvio Berlusconi parlava del tumore che lo aveva colpito. Accettò di concedermela solo a patto che non usassimo la parola cancro in prima pagina». Il cancro «si vince se si acchiappa il suo fantasma» ha spiegato dal canto suo Ezio Mauro, direttore di Repubblica. C'è un tabù, ha aggiunto, «ma bisogna sconfiggerlo con uno sforzo di fiducia» confidando sempre nel ruolo dei giornali, che è quello «di trasformare i lettori in cittadini», con una coscienza critica e civile. Monica Maggioni, direttore di Rainews 24, ha concordato sul fatto che «oggi la scienza in Italia è poco amata forse perché è poco raccontata». Sarah Varetto, direttore di Sky Tg24, ha messo dal canto suo in evidenza la necessità di arrivare a parlare di argomenti come il cancro e la malattia, puntando «sulla rivoluzione dei linguaggi», oggi più che mai possibile.

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