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Questo articolo è stato pubblicato il 25 aprile 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:17.

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Prima, nella notte del 6 dicembre 2007, il dramma del rogo e dei sette operai morti. Poi il timore che la sentenza di primo grado, con pene pesanti per "omicidio volontario con dolo eventuale", potesse mettere in fuga potenziali investitori. Torino e il Piemonte avevano vissuto la vicenda della ThyssenKrupp come un doppio problema: la sicurezza sul posto di lavoro e la sicurezza di avere un posto di lavoro. La tragedia delle famiglie delle vittime e la paura che una sentenza di dura condanna scoraggiasse gli imprenditori, soprattutto quelli in arrivo dall'estero.

Non è andata così. Gianfranco Carbonato, presidente di Confindustria Piemonte, assicura che i timori per una fuga delle aziende straniere – presenti o potenzialmente in arrivo – sono durati poco, «solo a ridosso della prima sentenza, considerata eccessiva da qualcuno, poi non se n'è più parlato, neppure in Germania».
Resta quella che Piero Fassino, sindaco di Torino, definisce come una ferita per la città: «Non sarà possibile in alcun modo lenire il dolore per quelle morti». Un dramma per le famiglie, per Torino, per la tradizione industriale di Torino. «Questa tragedia – prosegue il sindaco – ha di fatto segnato uno spartiacque tra un prima e un dopo, segnando indelebilmente una città che rimase attonita, ammutolita dal dolore e dallo sgomento».

Una città che aveva sempre fatto della sicurezza sul luogo di lavoro e delle condizioni di lavoro un tema civile e politico. E dove drammi come quello della ThyssenKrupp non avevano precedenti. Per Fassino l'impegno di tutti «deve essere ancora, e sempre, la garanzia della sicurezza sui luoghi di lavoro».
Anche Claudia Porchietto, assessore regionale al Lavoro, ribadisce che le preoccupazioni delle aziende non riguardano la sicurezza in quanto tale, ma la burocrazia e l'interpretazione delle norme, oltre alla certezze sui tempi. «Sul piano della sicurezza reale – prosegue Porchietto – gli investimenti sono aumentati ed è cresciuta l'attenzione e la consapevolezza, anche grazie ad iniziative come il Festival della sicurezza approdato anche a Torino.

Ma le montagne di carte inutili, che servono solo a sprecare tempo e denaro, rappresentano davvero un ostacolo, soprattutto per chi è abituato a confrontarsi con una burocrazia ridotta al minimo ma, non per questo, con minori impegni sul fronte della sicurezza sul lavoro».
Non è del tutto convinto Sergio Chiamparino, sindaco di Torino al momento della tragedia. «C'è voluta una tragedia di quelle dimensioni – ricorda – per far aprire gli occhi sul problema della sicurezza. E anche se ci sono stati miglioramenti, siamo ancora lontani da una situazione ottimale, non solo in Piemonte, ma in tutta Italia».

Quanto agli investimenti stranieri, se sono stati limitati – sostiene Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere – è solo per effetto della crisi, «non per paura della magistratura torinese».
Ma Giorgio Airaudo, ora parlamentare di Sel e all'epoca leader della Fiom, ribalta la prospettiva: «Non dobbiamo chiederci se le aziende straniere non vengono in Italia per paura di una legislazione sulla sicurezza che non è più pesante rispetto a quella degli altri Paesi europei; ma dobbiamo chiederci perché una multinazionale come la ThyssenKrupp riteneva di potersi comportare in Italia in maniera differente rispetto a quanto faceva in Germania». Per Airaudo la strage poteva, e doveva, essere evitata. E a suo avviso la sentenza di primo grado rispondeva maggiormente alla realtà dei fatti, «con un'azienda che, sino all'ultimo giorno prima della chiusura, cercava di spremere ogni centesimo di guadagno mettendo a rischio la vita stessa dei dipendenti».

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