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Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2014 alle ore 15:55.
L'ultima modifica è del 30 aprile 2014 alle ore 21:52.

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Poco male se invece del 45% di imposte in Italia, Dolce e Gabbana «hanno pagato solo il 4% sulle royalties in Lussemburgo». E certamente «come cittadino contribuente italiano posso indispettirmi e magari sono contento che la finanza accenda un faro. E allora posso anche aspettarmi l'intervento su Marchionne e sulla Fiat quando trasferiranno la sede legale in Olanda. Ma come operatore del diritto devo dire che sono operazioni legittime. E poi è anche vero che i dividendi sono stati tassati in Italia e che il prelievo complessivo è arrivato quindi al 32 per cento», aveva ricordato il pg. Inoltre gli stilisti hanno già pagato al fisco 40 milioni di euro e l'eventuale reato per il 2004 è caduto in prescrizione. Dunque, nell'ambito del contenzioso fiscale Dolce e Gabbana «pagheranno quello che pagheranno ma il processo tributario è diverso da quello penale e in questo processo non ci sono prove di illeciti penali».

La conferma della condanna era stata chiesta invece dall'avvocato Gabriella Vanadia per conto dell'agenzia delle Entrate. «Il dolo dell'evasione c'è stato - aveva esordito l'avvocato della parte civile - e l'evasione è stata particolarmente rilevante» nel 2004 e nel 2005. La Gado, insomma, sarebbe stata un caso di esterovestizione, collocata in Lussemburgo solo per pagare meno tasse ma di fatto gestita dall'Italia. Di diverso parere gli avvocati Massimo Dinoia e Armando Simbari, difensori dei due stilisti, della Gado e di Alfonso Dolce, che avevano ribadito la richiesta di assoluzione piena. Per Simbari, infatti, la Gado si occupava esclusivamente della tutela del marchio avendo ceduto le licenze di sfruttamento alle società licenziatarie e sublicenziatarie. Queste provvedevano allo sfruttamento commerciale del brand e pagavano le tasse nei rispettivi paesi. «Le royalties percepite da Gado - aveva sostenuto il legale - erano attorno al 7% del fatturato complessivo dei licenziatari». In pratica si trattava di circa 60 milioni su 800, una piccola quota le cui imposte venivano pagate in Lussemburgo.

La vicenda
Dolce e Gabbana erano stati condannati in primo grado il 19 giugno 2013 insieme agli altri imputati. Unica assolta, la manager belga Antoine Noella. Il giudice della seconda sezione penale del tribunale di Milano, Antonella Brambilla, aveva riconosciuto gli imputati colpevoli di omessa dichiarazione dei redditi, ma aveva assolto Dolce e Gabbana dall'accusa di dichiarazione infedele per 800 milioni di euro, «perché il fatto non sussiste».

I pm Laura Pedio e Gaetano Ruta avevano chiesto la condanna dei due stilisti a due anni e sei mesi di reclusione. Secondo l'accusa, Dolce e Gabbana avevano realizzato un'operazione di esterovestizione attraverso la creazione nel 2004 della società lussemburghese Gado, alla quale erano stati ceduti i marchi della maison.

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