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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2014 alle ore 14:49.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:23.

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Le classifiche - siano le Hit Parade degli album che le graduatorie dei muscoli economici delle nazioni - sono sempre succose. E quella dell'Icp (International Comparison Program, un progetto statistico ospitato dalla Banca mondiale) non fa eccezione. Tanto più quando un celebrato primattore, che svettava in cima alla classifica del Pil dal 1872, sta per essere spodestato dal primo posto nel podio: gli Stati Uniti nel 2014 dovranno, con ogni probabilità, lasciare il trono alla Cina.

La notizia si presta a precisazioni tecniche e a commenti politici. Vediamo dapprima le prime, anche se rischiano di raffreddare gli ardori del confronto. Intanto, i dati dell'Icp si riferiscono al 2011, ma il sorpasso avviene solo quest'anno se si aggiornano quei dati di partenza con i tassi di crescita dei rispettivi Pil: una procedura che pone qualche problema di metodo, ma che è, in mancanza d'altro, accettabile. Il confronto non fa ricorso ai cambi di mercato (gli Usa conserverebbero di gran lunga il primo posto) ma ai cambi a parità di potere d'acquisto (ppa). Come sa chiunque vada, per esempio, in Thailandia e si stupisca di quel che si può acquistare cambiando 100 euro in valuta locale, i cambi di mercato non sono una buona guida al potere d'acquisto delle monete. Bisogna correggerli tenendo conto del livello dei prezzi in ciascun Paese. Diventa quindi più corretto, se si vuole confrontare il Pil di un Paese col Pil di un altro Paese, usare i cambi ppa.
Il Pil ppa rimane comunque un costrutto statistico (anche il Pil "normale" lo è: basta ricordare che nelle settimane scorse la Nigeria ha ricalcolato il Pil, quasi raddoppiandolo e diventando così la prima economia africana, scavalcando il Sudafrica). I problemi di metodo e di stima del Pil ppa sono immensi, a partire dalla costruzione di un paniere comune di beni e servizi da usare per correggere i cambi col livello di quei prezzi. Per questo l'ampia introduzione al rapporto Icp onestamente avverte che differenze fino al 5% fra i Pil ppa di Paesi simili (mettiamo, Francia e Italia) non sono significative ai fini della classifica; mentre, per Paesi dissimili come Stati Uniti e Cina, il caveat si allarga fino a differenze del 15 per cento!

Bisogna concludere, riduttivamente, che la differenza nel 2014 fra la stazza delle economie cinese e statunitense non è statisticamente significativa? Non sarebbe giusto dirlo, perché l'avvicinamento comunque c'è e anche se il magico sorpasso dovesse darsi nel 2015 o nel 2016, il primo posto nel podio è inevitabile per il Celeste Impero. Ma quanto è significativa, dal punto di vista geopolitico, questa premiazione dei vincitori nella gara del Pil? Quanti rimpiangono lo spodestamento degli Usa avrebbero molte cose da dire: gli Stati Uniti rimangono la prima potenza militare; negli usi e costumi è la Cina che si va americanizzando e non viceversa; soprattutto, le istituzioni americane sono solide e temprate, mentre la Cina deve affrontare una perigliosa transizione verso forme di governo più rispettose dei diritti civili (fra cui c'è anche quello di non respirare aria inquinata da un modello di sviluppo insostenibile).
Tuttavia, il passaggio del testimone è, o sarà a breve, un evento storico. Non è solo la Cina a fare la corsa. Sono i Paesi emergenti - l'Asia in primo luogo - che crescono, e non da oggi e come è normale, più rapidamente delle economie avanzate. Qualche settimana fa il Fondo monetario ha pubblicato il suo rapporto semestrale (il World Economic Outlook) e pochi si sono accorti che nell'appendice statistica vi era un numerino che avrebbe dovuto fare scalpore: per la prima volta nella storia il peso delle economie avanzate nel Pil mondiale (stime 2013) era sceso sotto il 50% (a 49,6%). Un passaggio che simboleggia, accanto alla saga statistica Usa-Cina, uno spostamento nel baricentro dell'economia del pianeta. Le tradizionali correnti di scambi stanno cambiando: il cosiddetto South/South (anche se non geograficamente corretto, si tratta degli scambi all'interno dell'area emergente) diventerà sempre più importante. I Paesi occidentali, e in primis l'Italia, sono chiamati a cavalcare questa nuova fase di una inarrestabile globalizzazione. Senza rimpianti o ripari e guardando alle opportunità - partenariato e sbocchi - più che ai pericoli.

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