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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2014 alle ore 09:44.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:24.

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In gergo il mercato parla di «growth stocks» quando si riferisce ai titoli internet come Facebook, Twitter, Google, Amazon. Aziende che operano in un comparto in espansione che possono contare su una solida crescita di utili e giro d'affari nel tempo. È proprio questa crescita (growth in inglese) che giustifica il sovrapprezzo che il mercato impone a chi vuole comprare azioni di queste società.

Un sovrapprezzo che si calcola rapportando la capitalizzazione a indicatori di conto economico come il, patrimonio, i ricavi, gli utili. Per farsi un'idea di questo "premio" basti pensare che i titoli del web quotano 39 volte gli utili passati contro un multiplo di 24 volte del listino tecnologico Nasdaq. Le società internet capitalizzano 4,9 volte il patrimonio contro una media hi-tech di 3,3. L'indice Nasdaq vale 1,7 volte il fatturato annuo delle quotate. Il rapporto per i titoli del web è di oltre 4,8. È un sovrapprezzo giustificato? Il mercato sta iniziando a dubitarne. Anche perché, dalle ultime trimestrali, è proprio la crescita, cioè la prima ragione del sovrapprezzo delle azioni, che inizia a mostrare segnali di debolezza. Il numero di utenti Twitter è salito del 25% nel primo trimestre contro il +30% di fine 2013. Gruppi come LinkedIn, eBay o Amazon hanno ridotto le proprie previsioni di crescita per i prossimi trimestri. Un motore, per quanto buono, non può spingere sempre al massimo. Questo è stato il presagio del mercato che, ben prima che i risultati arrivassero, ha iniziato a vendere e, in meno di due mesi, il settore ha bruciato ben 180 miliardi di dollari di capitalizzazione. (A.F.D.)

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