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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2014 alle ore 07:40.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:27.

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Quando si parla di azienda si discute anzitutto di "politica", prima che di altri aspetti dell'attività umana, prima di tutto quella strettamente economica. Non ci sono scorciatoie su questo terreno. Infatti troppo spesso il concetto di azienda è semplificato attraverso l'uso di luoghi comuni, che la relegano solamente a sede del profitto e del tornaconto individuale o peggio ancora quando si parla di aziendalizzazione ogni qualvolta fanno capolino tentativi di portare attenzione, nella produzione di taluni servizi pubblici (scuola, sanità, ecc.) «alla sua dimensione economica senza per questo asservirla alla logica dello scambio e del profitto. Al contrario l'azienda può essere sede di operosa solidarietà tra gli uomini. E qui appare chiaro il ruolo della politica a cui il volume, non a caso dedica ampio spazio».

A far luce sulla dimensione profonda dell'azienda è Pellegrino Capaldo, noto economista e per molti anni ordinario all'Università La Sapienza di Roma, autore di molti testi su impresa e bilancio pubblico, professionista ricercato, attore tra i principali in Italia nel complesso mondo del non profit e attore in prima persona nella "pre-politica", anche con la creazione della fondazione "Nuovo millennio. Per una nuova Italia". Capaldo ha di recente scritto "L'azienda. Centro di Produzione" (Giuffrè editore), un'opera di largo respiro in cui si affronta a fondo il tema, dai caratteri generali ai modelli, dai soggetti allo Stato nelle sue varie declinazioni. «Il punto di partenza da cui mi sono mosso è che gli studi aziendali, se vogliono uscire dal pantano in cui sono caduti, credo anche a causa delle grandi società di consulenza internazionali, devono anzitutto recuperare la dimensione politica e istituzionale, perché al centro dell'azienda anzitutto c'è l'uomo, con i suo bisogni» ha detto il professore alla presentazione del libro nella sala Onida della Facoltà di Economia della Sapienza. «Ma c'è una sfida, quella istituzionale, imposta dall'articolo 45 della Costituzione, dove si dice che la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. Dietro questo linguaggio, che io reputo pessimo, c'è la spiegazione sul perché in Italia non c'è la cultura del profitto. Se non si recupera una vera cultura del rischio aziendale il Paese non crescerà. Questo vale anche per il welfare, che non può essere solo redistribuzione, ma si deve incardinare in un'economia in crescita».

Per Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli, «la visione morale di Capaldo richiama ciascuno alle proprie responsabilità, tema fondamentale in una paese dove le responsabilità non si individuano mai. Siamo vittime di un ginepraio di norme: l'eccesso di burocrazia blocca il paese». Inoltre «la struttura economica di questo paese che è stata trascurata anche perché non si è guardato al futuro, sia sociale che economico. C'è, infatti, un tema enorme relativo all'education: non c'è stata attenzione alla formazione delle persone».
Il giurista Natalino Irti ha messo in luce come l'azienda, non avendo fini "suoi propri" deve essere sempre scissa dal concetto di impresa: «Sono le scelte alla base di ogni atto fondativo di qualsiasi politica. C'è quindi un'oggettiva neutralità dell'azienda e una soggettività degli scopi». Per l'economista Vittorio Coda «c'è sempre un fatto di produzione alla base di un'azienda, qualunque forma abbia» intendendo quindi anche enti pubblici e forme di stato o enti locali, richiamando la visione del padre dell'economia aziendale italiana, Gino Zappa.

Felice Scalvini ha tracciato i profili delle aziende attive nel campo del non profit: «Non c'è una gerarchia nei modelli, tra capitalistico e mutalistico, nelle sue varie forme. L'azienda nel suo complesso risponde ad un visione complessa e antropologica. C'è una biodiversità aziendale, che va promossa e difesa, rispetto alla monocultura aziendale. Lo sforzo è valorizzare l'espressività collettiva, che si esplica nei corpi sociali intermedi». E infine il professore Luigi Guatri, già rettore della Bocconi, che ha tracciato un ricordo della lunga strada compiuta dall'economia aziendale dentro le università italiane, «dove spesso regna il lassismo invece che il merito». Alla fine della presentazione è stato consegnato a Capaldo un ponderoso studio nella ormai rara forma accademica degli "Scritti in onore", curata dai docenti Laghi e Zanda, e composto di 90 contributi.

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