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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2014 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:27.

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Mentre il mondo cerca di riprendersi dalla crisi globale, le politiche monetarie non convenzionali adottate da molti Paesi avanzati sembrano aver conquistato consensi. Tuttavia, per le economie gravate da debito o incertezza politica o bisogno di riforme strutturali, sorge un interrogativo legittimo: se i vantaggi interni di tali politiche non abbiano ripercussioni negative sulle altre economie. Ignorare questi effetti potrebbe mettere l'economia globale sulla perigliosa strada di un taglione monetario non convenzionale. Per garantire una crescita sostenibile, i leader devono ripensare le regole internazionali del gioco monetario e le economie avanzate ed emergenti devono adottare politiche monetarie più vantaggiose. Politiche non convenzionali come il quantitative easing hanno un ruolo preciso: quando i mercati sono in difficoltà, le banche centrali devono pensare in modo innovativo. L'intervento fatto dopo il crollo della Lehman Brothers, nel 2008, fu adeguato anche se le banche centrali non avevano un vademecum per casi del genere.

I problemi nascono quando queste politiche si riversano all'esterno dei mercati sotto cura; quando le economie sono compromesse e necessitano di riforme serie, i vantaggi interni sono tutt'altro che evidenti, mentre gli effetti diffusivi portano volatilità della moneta e del prezzo degli asset nell'economia interna come nei Paesi emergenti. Più coordinamento fra banche centrali contribuirebbe a garantire che la politica monetaria faccia il suo lavoro a livello interno, senza troppe ripercussioni negative esterne. Ciò non significa che le banche centrali debbano tenere incontri per discutere le strategie collettive, ma piuttosto che il mandato delle banche centrali sistemicamente influenti venga esteso per scongiurare gli effetti diffusivi. Nello sforzo di tenere i Paesi lontani dai flussi di capitale e di mantenere bassi i tassi, le banche centrali rischiano di ritrovarsi chiuse in un ciclo di allentamento espansivo mirato a massimizzare l'esigua quota di domanda globale dei Paesi. Con poche eccezioni, le autorità delle istituzioni multilaterali non hanno messo in discussione queste politiche monetarie non convenzionali e ne sono state entusiaste.

Questo atteggiamento comporta due rischi fondamentali. Il primo è la violazione delle regole del gioco. Adottare politiche monetarie non convenzionali equivale a dire che si possono distorcere i prezzi degli asset se vi sono altri vincoli interni che pesano sulla crescita. Allo stesso modo, i Paesi si sentirebbero legittimati ad adottare quello che potrebbero chiamare "un allentamento quantitativo esterno" (quantitative external easing, Qee), ovvero le banche centrali che intervengono per abbassare i loro tassi di cambio accumulando importanti riserve. Se gli effetti diffusivi netti non determinano una politica accettabile a livello internazionale, le istituzioni multilaterali non possono pretendere che il Qee contravvenga alle regole del gioco, indipendentemente da quanta instabilità questo comporti. Non è più solo un'ipotesi. L'allentamento quantitativo e le sue varianti sono attuati in casi in cui le banche sono disposte a tenere grandi riserve, in genere quando i canali di credito sono bloccati e le altre fonti di domanda sensibili ai tassi di interesse sono deboli. In situazioni del genere il Qe "funziona" modificando i tassi di cambio e ripartendo la domanda fra diversi Paesi. In altre parole si differenzia dal Qee per la portata e non per la tipologia.

Il secondo pericolo è che i "Paesi sorgente" non vogliano tenere conto dei danni involontari che gli effetti diffusivi provocano nei Paesi destinatari e agiscano nel proprio interesse. Anche se le banche centrali dei Paesi sorgente hanno comunicato che saranno le condizioni interne a dettare l'uscita dalle politiche non convenzionali, non hanno detto niente su come risponderebbero allo scompiglio esterno.
La conclusione è che i Paesi destinatari devono cavarsela da soli. Le economie emergenti sono sempre più attente a non accumulare grossi deficit e fanno attenzione a mantenere un tasso di cambio competitivo e ad accumulare grandi riserve per tutelarsi in caso di crisi. In un momento in cui la domanda aggregata è così scarsa, è questa la risposta che i Paesi sorgente vogliono offrire?

Nonostante i vantaggi evidenti di ampliare i mandati delle banche centrali per includervi gli effetti diffusivi, un tale cambiamento sarebbe difficile da realizzare in un momento in cui prevalgono le preoccupazioni interne. Una soluzione più praticabile sarebbe che le banche centrali dei Paesi sorgente rivedessero i propri mandati per considerare gli effetti a medio termine delle risposte politiche dei Paesi destinatari, come un intervento sostenuto sui tassi di cambio. Così le banche centrali potrebbero riconoscere gli effetti negativi e ridurli, senza travalicare il mandato. Questo coordinamento più blando potrebbe essere sostenuto da un riesame delle reti di sicurezza globale. I rischi che questo "non sistema" comporta non investono un Paese in particolare. In un mondo con una domanda globale debole, i Paesi si lanciano in una sterile corsa fra chi si aggiudica la quota più grande e creano rischi finanziari e transnazionali che diventeranno sempre più evidenti una volta usciti dalle rispettive politiche non convenzionali. La prima cosa da fare per prescrivere la medicina giusta è stabilire la causa di una malattia. E nel caso dell'economia mondiale, l'allentamento monetario estremo è stato la causa più che la cura. Prima lo ammetteremo, più forte e sostenibile sarà la ripresa dell'economia globale.

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