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Dall'Irlanda scatta il Giro d'Italia: tante montagne, senza favoriti

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Una volta tanto cominciamo dalle buone notizie. Oggi, con il primo week end in Irlanda, parte il 97esimo Giro d'Italia. Sulla carta è una meraviglia: con tante montagne, senza il solito favorito annunciato e con tante possibili sorprese da scartare fino all'ultima tappa di Trieste.

Perfino le cronometro, di solito di una noia mortale, questa volta sono dosate bene e con percorsi misti. E a parte la crono squadra di apertura, non favoriranno gli specialisti delle lancette. Insomma: è un Giro dove può capitare di tutto. Anche che salti fuori un inaspettato baby che, come fece Damiano Cunego nel 2004, dia la birra ai capitani e rottami la vecchia casta.

Ecco, le buone notizie le abbiamo date. Ora arriva il peggio. Tanto per cominciare, partire sempre da un altro paese d'Europa non è per forza un segnale positivo per il nostro ciclismo. Il cielo d'Irlanda sarà bellissimo, come pure i richiami a James Joyce, con quel suo peregrinare da Dublino a Trieste, però la ricaduta emotiva in Italia non è proprio clamorosa.

Se poi andiamo a vedere i partecipanti, anche qui tutto s'ammoscia. Se non ci sono grandi favoriti è perchè non ci sono grandi campioni. Senza Chris Froome, senza Alberto Contador, senza Sir Bradley Wiggins, e senza il nostro Vincenzo Nibali, nel mazzo dei big ci rimane davvero poco. Un manipolo di vecchietti (Basso, Scarponi, Evans), qualche capitano di media grandezza (Quintana, Rodriguez, Hesjedal, Uran) e infine un nostro outsider, Domenico Pozzovivo, che se non perde troppo tempo nella prima settimana, può mettere fuori la testa nel finale, quando si va su e giù per le montagne.

Ecco, sputato il rospo, si può cominciare a ragionare. Perchè se è vero che gli assenti hanno sempre torto, è anche vero che tutte queste assenze hanno una spiegazione precisa. Ed è questa: che il nostro ciclismo, un po' come il nostro calcio, conta sempre meno. Va giù. Sia per motivi economici, che anche per talenti, rischia di sprofondare in B. Una volta eravamo l'Università delle due ruote, tanto che i futuri campioni venivano a studiare qui in Italia, nelle facoltà della Toscana, del Veneto, della Lombardia. Adesso, imparata l'arte, vanno tutti all'estero. Come il nostro Nibali che, correndo per una corazzata come l'Astana, dovendo scegliere, va al Tour de France, dove se ritroverà con i vertici del ciclismo mondiale.

C'è poco da fare: ormai per costruire una squadra come Dio comanda ci vogliono dai 15 ai 20 milioni di budget. Così le nostre squadre, che fanno fatica ad arrivare a sei milioni , arrancano o chiudono. È il ciclismo diventa il festival di arabi, americani, australiani, inglesi. L'unica squadra che ci resta è la Lampre di Damiano Cunego e Diego Ulissi, ma non è che goda di buona salute anche per via delle inchieste giudiziarie che le pesano sulla testa. E quindi dobbiamo prenderne atto. E sperare che da tutto questo deserto, grazie a una mamma generosa, spunti un campioncino fatto in casa.

Ce l' abbiamo anche un campioncino tutto nostro. Si chiama Fabio Aru, ed è un ragazzo del '90 che il 3 luglio farà 24 anni. La faccia è quella di un bravo ragazzo, ma come tutti i sardi ha una grinta da far paura. L'anno scorso, nella tappa delle Tre Cime di Lavaredo, quella della bufera di neve dominata da Nibali, arrivò quinto spuntando tra i fiocchi e il ghiaccio. Fabio ha talento ed intelligenza. Tutte qualità che gli hanno permesso di correre per l'Astana che, qui al Giro, in assenza di Nibali, punterà su Scarponi e sul nostro tamburino sardo felice di partire dall'Irlanda: «Certo che mi piace partire da Belfast. Si parte da un'isola, e per un isolano come me è il massimo. Il mio sogno? Arrivare tra i primi dieci».

Comunque, se guardiamo i valori in campo, in pole position dobbiamo mettere il colombiano Nairo Quintana, 24 anni, secondo al Tour 2013 e miglior giovane della corsa francese. Uno per intenderci che ha già messo alle corde Chris Froome. In un Giro che presenta salite come Gavia, Stelvio, Montecampione, Oropa, e il gran finale dello Zoncolan, Quintana è il faro della corsa. Soprattutto se è venuto in Irlanda con la stessa forma con cui ha corso in Francia. Dietro di lui, lo spagnolo Joaquin Rodriguez, terzo al Tour del 2013 e secondo al Giro del 2012. Per Rodriguez questa è l'occasione della vita. il leader della del Team Katusha, con l'appoggio di Caruso e Paolini, può fare il botto. L'esperienza non gli manca. Se si è ripreso due cadute nella classiche del Nord, forse il Giro è suo.

Tante ipotesi, tanti condizionali, ma nessuna certezza. Una certezza è invece quella degli anniversari e delle ricorrenze: dieci anni fa moriva Marco Pantani, ultimo fuoco di un ciclismo che viveva di vampate individuali. Sembrava che il suo testimone fosse stato ripreso da Damiano Cunego, vincitore a sorpresa proprio del Giro 2004, quando con la ribalderia dei giovani strappò i gradi di capitano a Gilberto Simoni. Ma fu solo un bel fuoco d'artificio, che poi si riaccese solo per qualche classica e per qualche impresa di giornata. Quest'anno Cunego, forse stimolato dai ricordi, ci riprova. Dice di stare bene, di poter lottare per la classifica. Un po' di sano scetticismo, però non guasta. Comunque i giovani, almeno sulla carta, ci sono: abbiamo detto di Fabio Aru per un molto eventuale posto sul podio; per qualche tappa possiamo invece fare affidamento su Diego Ulissi, Moreno Moser ed Enrico Battaglin. Nelle volate c'è invece Viviani che in Turchia ha battuto due volte il Mark Cavendish. Comunque per gli sprint, l'uomo da battere è il tedesco Kittel. E' un fulmine. In più nella sua squadra - Il Team Giant Shimano - può contare su altre due schegge come Mezgec e De Backer.

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