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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2014 alle ore 07:25.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:34.

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Meno male che la Camera sta per approvare il decreto sul lavoro. C'è voluto il solito voto di fiducia al termine di un percorso travagliato, ma almeno è un provvedimento concreto in mezzo all'inconcludenza della campagna elettorale. Il resto lo vedremo solo dopo il 25 maggio. E fino ad allora prepariamoci a giorni virulenti. Ieri ne abbiamo avuto un esempio con Grillo che vuole fermare i lavori dell'Expo. Naturalmente non è un'ipotesi realizzabile, ma è significativa di una mentalità.

Il capo del M5S non è uomo che spreca tempo a spiegare come vorrebbe un giorno governare l'Italia, pur essendo questo, ovviamente, il suo traguardo conclamato. Eppure ieri ecco la proposta di chiudere l'Expo prima di inaugurarla, confessando al mondo che l'Italia è un paese fallito e corrotto. Uno scenario che dal punto di vista politico-elettorale varrebbe oro per Grillo; mentre per il paese sarebbe un disastro economico e di immagine.
S'intende che non è questo che interessa agli elettori via via mobilitati dal M5S (e non sembrano pochi). A loro preme restare sulla cresta dell'onda e rinnovare i fasti del febbraio 2013. Per questo seguiranno il leader carismatico fino in fondo, benché Grillo cominci ad avere difficoltà a rinnovare il repertorio, uscendo dal turpiloquio e dalle invettive. Il fatto è che egli continua a essere percepito come l'anti-sistema, il nemico di ogni potere consolidato. Altro che Expo. Finché Grillo riesce a incarnare la figura epica del vendicatore, i suoi consensi non caleranno: nonostante errori, contraddizioni e falsità.

Questa è la sfida rivolta al premier. Il quale nello psicodramma rappresenta appunto il sistema contro l'anti-sistema. Ed è una difficoltà di non poco conto. Dire "dimostriamo che lo Stato è più forte dei ladri" equivale a esprimere forte volontà istituzionale, ma si presta anche a infinite ironie. Forse perché "il sistema è marcio", come scriveva ieri Stefano Micossi sul sito "InPiù". Il che non significa che siamo alla replica tale e quale di Tangentopoli. Vuol dire tuttavia che l'Italia in vent'anni non ha saputo rinnovarsi. Il "marcio" deriva dalla mancanza di riforme, per cui i buoni propositi di Renzi sembrano arrivare quando i buoi sono già scappati dalla stalla.
Questo contribuisce a spiegare perché in Spagna non esiste un movimento protestatario euro-scettico come i Cinque Stelle e nemmeno nazionalista come il Front National di Marine Le Pen. Perché Madrid ha saputo guidare il rinnovamento in anni difficili, nonostante le asprezze della crisi economica. E oggi sfrutta la brezza della ripresa, cogliendo i frutti del suo coraggio.

Da noi invece si resta con la testa rivolta al passato. Le rivelazioni dell'ex segretario al Tesoro americano, Tim Geithner, circa un complotto europeo nel 2011 contro Berlusconi, non hanno consistenza, ma servono a Forza Italia per tentare di rilanciare una campagna elettorale che ha l'aria di essere compromessa. C'è poco di nuovo nelle memorie di Geithner. Solo la conferma che nell'autunno di quasi tre anni fa Berlusconi era visto in Europa, dove tutto ormai è interconnesso, come l'affossatore dell'Italia e una minaccia per la stessa Unione. Del resto, fu un golpe assai strano se lo stesso Berlusconi dichiarò nel febbraio 2012: "Sono stato io a dimettermi per senso di responsabilità. Ora serve un governo tecnico". E infatti appoggiò Monti a lungo.

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