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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2014 alle ore 06:55.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:34.

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L'enciclopedia online, Wikipedia, lo definisce «un banchiere e funzionario italiano». E molto probabilmente, ad Attilio Befera, questa sommaria descrizione non piacerà. In quell'appellativo di «banchiere», infatti, ci si ritroverà poco, a dispetto della lunga carriera in Efibanca dove, assunto nel '65, a soli 19 anni, è arrivato ad assumere il ruolo di direttore centrale. «Un funzionario italiano», invece, Befera si sente e si sentirà sempre, anche dopo il 24 maggio, giorno in cui per le norme sullo spoils system lascerà l'agenzia delle Entrate e si dimetterà, di conseguenza, dalla carica "collegata" di presidente di Equitalia.

Nei ranghi dall'amministrazione finanziaria Befera è entrato nel 1995, nominato Ispettore centrale del Secit (il servizio centrale degli ispettori tributari). Due anni dopo, è diventato direttore centrale per la Riscossione, realizzando la riforma del servizio nazionale dei concessionari della riscossione. Dal 2001, con la creazione dell'agenzia delle Entrate, è stato nominato prima direttore centrale per i rapporti con gli enti esterni e, successivamente, direttore centrale. Nel giugno del 2008 viene scelto come Direttore dell'agenzia delle Entrate dal Governo Berlusconi (con Giulio Tremonti all'Economia) e dal 1° ottobre 2008 assume anche la veste di Presidente di Equitalia, la società di riscossione pubblica nata nel 2005 (con la denominazione di "Riscossione Spa") con la partecipazione al 51% dall'Agenzia a al 49% dall'Inps, di cui fino a quel momento era stato amministratore delegato.

Gli ultimi mesi, per il "Funzionario" che senza dubbio ha impresso una svolta nella lotta all'evasione e nella percezione da parte dei contribuenti di un Fisco più severo verso illegalità e malcostume tributario, sono stati piuttosto difficili. Difficile è stato il rapporto con il neopresidente del Consiglio Matteo Renzi. A differenza dei premier e dei titolari dell'Economia che si sono succeduti a Palazzo Chigi in questi anni (da Mario Monti a Enrico Letta, da Vittorio Grilli a Fabrizio Saccomanni), con i quali Befera ha saputo instaurare tutto sommato cordiali rapporti istituzionali, Renzi non ha mancato occasione per additare all'opinione pubblica il metodo "Cortina". I blitz nelle cittadelle della mondanità, le ispezioni a sorpresa in boutique e gioiellerie, i controlli a tappeto nei centri balneari e nelle discoteche, insomma quell'insieme di operazioni avallate da Befera come simboli di una battaglia senza quartiere all'economia sommersa, non sono stati mai apprezzati da Renzi, in quanto frutto di una inutile "spettacolarizzazione" della lotta all'evasione.

Befera, che in stagioni così comlpesse per le finanze pubbliche nelle quali la leva fiscale è servita più che mai a tenere in piedi i conti, per molti è stato una sorta di "ministro delle finanze ombra", e ha spesso ricordato «che l'elusione e l'evasione non sono compatibili con la nostra economia e con nessun sistema veramente democratico». I bilanci dei sei anni del suo "regno", del resto, sono eloquenti: le somme recuperate dall'Agenzia, nell'ambito del contrasto all'evasione (un buco nero in cui si perdono ogni anno oltre 120 miliardi di euro), sono aumentate dai 6,9 miliardi di euro del 2008 ai 13,1 miliardi del 2013 e per ogni 100 euro di gettito ottenuto l'attività dell'Agenzia costa 0,85 centesimi al bilancio dello Stato. Tutto ciò, peraltro, in un periodo caratterizzato dalle difficoltà derivanti dal perdurare della crisi economica.

Proteste anche clamorose e critiche all'"intransigenza" dell'amministrazione finanziaria, in effetti, non sono mancate, in una situazione di crescente tensione sociale da cui sono scaturiti gravi attentati, come quello del dicembre 2011 in cui è rimasto ferito il dg di Equitalia Marco Cuccagna. Mesi durante i quali a Befera va dato il merito di aver mantenuto i nervi saldi, cercando di rasserenare il clima nell'ottica di quella "compliance" che è stata una delle cifre della sua gestione e che oggi viene lasciata in eredità all'Agenzia, con tutto il peso e le incertezze del "redditometro", lo strumento principe chiamato a misurare l'effettiva ricchezza degli italiani con il loro tenore di vita per stanare evasori incalliti e contribuenti infedeli.

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