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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2014 alle ore 08:40.
L'ultima modifica è del 15 maggio 2014 alle ore 09:00.

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(LaPresse)(LaPresse)

ROMA - «Liberamente e responsabilmente». Sono le parole-chiave che la nota del Colle mette accanto a quelle dimissioni di Silvio Berlusconi che – come si ricorda – vennero preannunciate dall'ex premier l'8 novembre e poi rassegnate quattro giorni dopo con motivazioni legate a «eventi politico-parlamentari». La versione del Quirinale arriva in una giornata di polemica aspra, dettata da un calendario elettorale che corre verso la data delle urne e incrocia il tentativo di "recupero" di Silvio Berlusconi.

Non è la prima volta che Forza Italia usa la tesi del complotto mettendo all'indice una presunta regia di Giorgio Napolitano. Questa volta sono le rivelazioni contenute nel libro dell'ex segretario di Stato al Tesoro Geithner che parla di alti funzionari europei decisi a far dimettere Berlusconi ma che l'entourage dell'ex premier "scarica" sul Colle. Ed è questo l'altro punto che tocca la nota del Quirinale: a quelle riunioni di alti funzionari il capo dello Stato «non partecipò». Una distanza ferma che viene così spiegata: «Consessi europei e internazionali cui il Presidente della Repubblica – al pari degli altri Capi di Stato non dotati di poteri esecutivi – non aveva titolo a partecipare e non partecipò: e dunque nulla può dire al riguardo».

Insomma, il punto non sono tanto i racconti di Geithner quanto il fatto di creare un collegamento indebito con il Quirinale che ha fatto le sue scelte seguendo percorsi molto diversi da presunti accordi segreti. E di cui peraltro vi è traccia. Solo l'anno prima delle dimissioni di Berlusconi, nell'autunno 2010, proprio Giorgio Napolitano antepose l'approvazione della Finanziaria al redde rationem parlamentare nella maggioranza di centro-destra dopo lo strappo di Gianfranco Fini. Giorni in più per Berlusconi – circa un mese – che gli furono molto utili per recuperare voti e ottenere un'inattesa fiducia. E l'anno dopo, nella circostanza più squalificante per il Governo Berlusconi all'estero – le risatine di Merkel e Sarkozy – fu Napolitano, per primo, a prendere le distanze dai due leader europei con parole piuttosto dure. Bollò quelle risatine come «inopportune e sgradevoli espressioni pubbliche di scarsa fiducia negli impegni assunti dall'Italia». Era il 24 ottobre, la storia di lì a qualche settimana precipitò non solo dal punto di vista finanziario ma anche per la tenuta della maggioranza. Fu innanzitutto all'interno dell'ex Pdl che cominciò uno scollamento e fu dopo una riunione tra Berlusconi, i suoi figli, Fedele Confalonieri ed Ennio Doris (dopo i contraccolpi subiti in Borsa dal titolo Mediaset) che si arrivò all'annuncio delle dimissioni. Senza dimenticare che al Governo Berlusconi era stata già recapitata la lettera della Bce in cui si chiedevano riforme – quella delle pensioni, innanzitutto – su cui mai ci sarebbe stato il "sì" della Lega.

Insomma, c'è una storia nota, trasparente, che è quella su cui ha preso le misure il capo dello Stato senza essere mai stato messo a conoscenza da Berlusconi di pressioni, come scrive nella nota di ieri. «Null'altro di pressioni e coartazioni subite dal Presidente del Consiglio nei momenti e nei luoghi di recente evocati fu mai portato a conoscenza del Capo dello Stato». È dunque sui fatti che Napolitano ha fatto le sue scelte seguendo un identico filo logico, lo stesso del 2010: anteporre la stabilità politico/finanziaria del Paese. Lo raccontò lui stesso a poche settimane dal cambio a Palazzo Chigi, per l'esattezza il 20 dicembre 2011 e poi nel discorso di fine anno. «La nascita del Governo Monti ha costituito il punto d'arrivo di una travagliata crisi politica di cui l'on. Berlusconi ha preso responsabilmente atto. Si è allora largamente convenuto che il far seguire precipitosamente, all'apertura della crisi di governo, uno scioglimento anticipato delle Camere, avrebbe rappresentato un azzardo pesante dal punto di vista dell'interesse generale del paese. Di qui è venuto quel largo sostegno in Parlamento al momento della fiducia al governo». Dunque ci fu un pieno coinvolgimento di Berlusconi, che mai parlò di complotto, e infatti votò la fiducia al Governo Monti. E votò anche per il Governo Letta di cui l'ex Pdl fu tra i primi sostenitori. Ma la teoria del complotto è tornata – guarda caso – dopo la condanna definitiva di Berlusconi, la conseguente decadenza da senatore e l'uscita dalla maggioranza. Da allora è ripresa l'offensiva contro Napolitano tra "colpi di Stato" e accuse per non aver concesso la grazia motu proprio.

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