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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2014 alle ore 08:45.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:41.

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Le incognite del voto europeo e i cattivi dati sulla crescita economica nel primo trimestre dell'anno hanno messo un freno, forse salutare, all'eccesso di ottimismo che si stava creando attorno all'area dell'euro. Una moderata ripresa è in atto e la fiducia nell'economia continua a far leva sui bassi costi del denaro, ma economie che si sviluppano in modo diverso e preferenze politiche dei cittadini anch'esse divergenti sono una combinazione pericolosa sul lungo andare.

Come è possibile infatti realizzare progetti comuni che rendano più integrate e simili le economie dell'area euro senza consenso politico? Se i partiti più euro-critici dovessero vincere le elezioni in singoli Paesi, in Francia per esempio, ogni progetto di modifica dei Trattati, o ogni decisione europea che richiedesse ratifiche parlamentari nazionali, verrebbe accantonata. L'idea di completare l'unione monetaria con la creazione di un governo economico europeo finirebbe in cantina fino a un futuro distante. Sarebbe più difficile anche approvare misure di solidarietà – per esempio un piano europeo di investimenti – per accompagnare le riforme strutturali dei Paesi in difficoltà.

In almeno quattro Paesi, Francia, Olanda, Italia e Grecia, gli equilibri politici interni potrebbero essere influenzati dal voto di domenica. In alcuni casi è anche possibile che la stabilità dei governi sia messa sotto verifica. Si tratta proprio dei quattro Paesi che hanno visto la crescita economica peggiorare rispetto alle previsioni nel primo trimestre dell'anno. I due fattori – debolezza economica e instabilità politica – si alimentano l'un l'altro e mettono in diretto collegamento gli equilibri nazionali con il voto europeo nel quale gli elettori sono motivati, secondo i sondaggi, dallo stato dell'economia e dal livello di disoccupazione.

Nel quadro europeo, governi nazionali stabili sarebbero necessari non solo per mettere i governi in condizione di realizzare riforme che aiutino la crescita economica, ma per far valere le proprie ragioni nei negoziati, e perfino per ottenere assistenza in caso di necessità. Senza voler eccedere in allarmismo, anche la sottoscrizione di accordi di assistenza da parte dei parlamenti nazionali richiede un minimo di stabilità politica. L'eventualità, pur remota, che Paesi deboli non siano in condizione di garantire il rispetto degli accordi con i partner, potrebbe riproporre i rischi di tenuta dell'area euro. Questa sembra essere una delle ragioni dietro alla riapertura molto brusca degli spread negli ultimi giorni.

Mentre gli effetti del voto di domenica sulle istituzioni comuni richiederanno tempo per manifestarsi, da lunedì saranno sotto osservazione soprattutto gli effetti più immediati sulle politiche nazionali. Il fatto per esempio che né Matteo Renzi, né il premier francese Manuel Valls siano diventati capi di governo in seguito a un voto popolare, renderebbe più fragile la loro posizione in caso di un eventuale esito negativo delle elezioni europee. Il loro mandato politico, connotato da una fitta agenda di riforme, potrebbe uscire indebolito se gli elettori si schierassero massicciamente con partiti che hanno priorità diverse. La necessità di un pieno mandato elettorale diventerebbe più vistosa e l'orizzonte delle legislature si accorcerebbe, in una fase in cui invece le riforme in cantiere richiedono tempo per essere approvate e realizzate. La riforma della legge elettorale è solo un esempio delle iniziative utili a rafforzare la stabilità politica ed economica che si prevede risentano degli esiti del voto.

Nella campagna elettorale dei vari Paesi, emergono inoltre le differenze tra i diversi partiti euro-scettici, che potrebbero non riuscire a coalizzarsi nel Parlamento europeo, ma che spingono i partiti tradizionali verso posizioni opposte nel Nord e nel Sud dell'Europa. A Berlino per esempio il governo sta lanciando moniti contro l'impiego degli Omt, gli interventi della Bce finora mai attivati, in risposta al partito anti-euro che ne richiede l'abolizione. In Grecia, invece, la possibile vittoria di Syriza rafforzerebbe le richieste di allentamento delle politiche di austerità. Il difficile equilibrio tra riforme dei Paesi deboli e il sostegno da parte dei partner più forti potrebbe risentirne, quanto meno in termini di credibilità degli impegni. Poi, una volta terminata la campagna elettorale, i toni si abbasseranno. I governi torneranno a dichiarare il proprio impegno nelle politiche europee benché con toni sempre più difensivi. L'instabilità politica dei governi deboli sarà accentuata dalla probabile vittoria della cancelliera Merkel che risulterà ancora più forte nei negoziati europei. I Paesi più fragili saranno un poco più soli e dovranno far leva su se stessi per alimentare assieme lo sviluppo dell'economia e la credibilità della politica.

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