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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2014 alle ore 15:25.
L'ultima modifica è del 24 maggio 2014 alle ore 16:18.

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Domenica nelle elezioni per i 73 deputati italiani del Parlamento europeo – oltre che per i Consigli regionali di Abruzzo e Piemonte e i sindaci di 4.100 comuni – andranno alle urne anche i giovani diciottenni nati nel 1996. Sono i "nativi digitali", la prima generazione cresciuta con internet: ma nella cabina elettorale, invece del tablet o dello smartphone, avranno a disposizione una matita copiativa.

I voti dei "ragazzi del 96" non saranno determinanti per i risultati elettorali (le nascite in Italia da gennaio a maggio di quell'anno furono poco più di 200 mila), ma rappresentano una simbolica linea del passaggio di un'epoca. Nel centenario della Grande guerra, questa definizione ci permette di esprimere anche un commosso ricordo per i "ragazzi del 99", i coscritti diciottenni precettati nei primi mesi del 1917 e inviati al fronte in novembre dopo la disfatta di Caporetto, recando un apprezzabile contributo alla vittoria finale. A distanza di un secolo non c'è più da combattere la battaglia del Piave, bensì l'emergenza del lavoro, con la disoccupazione giovanile (nella fascia d'età standard 15-24 anni) che ha raggiunto il 42% secondo gli ultimi dati Istat. Ecco perché il voto dei giovani (non soltanto dei diciottenni) in tutti i 28 Stati dell'Unione sarà un test importante della fiducia o – come anche si teme – della sfiducia nel progetto europeo.

Le elezioni per l'Europarlamento non hanno mai suscitato grandi entusiasmi: la media dei votanti è scesa dal 62% del primo voto diretto nel 1979 (con nove Paesi membri) al 43% del 2009 nella Ue di 27 paesi (la Croazia ha aderito il 1° luglio 2013). Ma in un momento in cui l'Unione cerca di superare la perdurante crisi economica e i leader europei riflettono su quale direzione prendere in futuro, la posta in gioco è alta. In Italia il voto ha poi un risvolto interno del tutto particolare: basti vedere il "rush" di Renzi, Grillo e Berlusconi (i tre nomi di maggiore impatto mediatico) negli ultimi giorni della campagna elettorale.

Questa volta c'è la novità che i cittadini, oltre ad eleggere i deputati europei per i prossimi cinque anni, potranno indicare – seppure in forma indiretta - il presidente della Commissione, cioè il capo dell'Esecutivo europeo, che in autunno succederà a José Manuel Barroso. Secondo il Trattato di Lisbona (entrato in vigore il 1° dicembre 2009, dopo le ultime elezioni europee) i capi di Stato e di governo dovranno infatti "tener conto" dell'esito elettorale per designare il presidente della Commissione.

La scelta del 1996 come "anno zero" per l'arrivo di internet in Italia è convenzionale (e in certa misura opinabile). Già l'anno prima Nicholas Negroponte aveva pubblicato il suo celebre saggio «Being Digital» (subito tradotto in italiano da Sperling & Kupfer), dove scriveva che «l'informatica non riguarda più solo il computer, è un modo di vivere». Nel libro «La scuola digitale» (edizioni Bruno Mondadori) Paolo Ferri indica nel 1996 la data di nascita dei "digital natives" per la diffusione dei primi browser, a cominciare da Netscape Navigator, ideato da Jim Clark e Marc Andreessen, che mantenne una posizione di preminenza fino al 1998, quando arrivò sul mercato Internet Explorer di Microsoft.

Ma anche altri "indizi" ci conducono al 1996: a metà gennaio l'Ansa organizzò una conferenza internazionale sul futuro dell'informazione per celebrare il mezzo secolo di attività (nata nel 1945, le prime notizie Ansa furono consegnate a Roma tramite fattorino): fra i relatori c'erano Michael Bloomberg (non ancora sindaco di New York, ma invitato come fondatore dell'omonima agenzia di stampa), Jim Clark (citato sopra per Netscape) e Derrick de Kerckhove (allievo ed erede intellettuale di Marshall McLuhan all'università di Toronto).

Nel primo semestre del 1996 l'Italia ha la presidenza europea, ma per i vertici dei capi di Stato e di governo al Lingotto di Torino (a fine marzo) e alla Fortezza da Basso di Firenze (seconda metà di giugno), nei kit distribuiti ai giornalisti ci sono numeri di telefono e fax, senza nessun sito web, né indirizzo e-mail. A Firenze il governo italiano è guidato da Romano Prodi, che due mesi prima aveva vinto le elezioni con la coalizione dell'Ulivo: per il voto del 1996 «Repubblica» aveva lanciato un sito web sperimentale. Al giugno 1996 risale anche la registrazione del portale del «Sole 24 Ore» (con il suffisso "it" nell'indirizzo, mentre "com" seguirà quattro anni dopo); la redazione online del nostro quotidiano nascerà invece nel settembre del 1997.

Per noi "Gutenberg natives", che abbiamo vissuto la prima parte della vita nell'universo sociale ed economico della "galassia Gutenberg", dove i mezzi di comunicazione di massa erano i giornali su carta, il cinema, la radio e la tv, i cambiamenti veicolati dal web e dai "social media" sono sorprendenti e spesso non vengono accettati subito. I "nativi digitali" trovano sempre qualcosa quando cercano informazioni sulla rete, ma non è detto che siano le cose migliori e che siano sempre affidabili. Il web non è la bacchetta magica della democrazia. Come ha scritto «Time» nella copertina dell'anno dedicata alla Primavera araba, anche quell'evento «non fu solo una "wired revolution", ma dell'uomo, dei cuori e delle menti: la tecnologia più vecchia di tutte».

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