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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2014 alle ore 11:06.
L'ultima modifica è del 23 maggio 2014 alle ore 13:47.

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(Reuters)(Reuters)

BANGKOK - La mattina dopo la prima notte di coprifuoco, l'ordine regnava a Bangkok. La giunta militare, che ieri ha preso il potere con il dodicesimo colpo di stato nella storia del Regno da quando è divenuto monarchia costituzionale (1932), ha deciso di mantenere un profilo basso. In centro città non si vedevano soldati. Uffici, negozi, grandi magazzini erano tutti aperti. Anche qualche scuola privata. Del resto non c'è bisogno di mostrare i muscoli, almeno a Bangkok. Circa il 70% degli abitanti della capitale ha accolto in colpo di stato con piacere. O quantomeno con sollievo. Con il colpo di stato, infatti, sono terminate le manifestazioni che da circa sei mesi si susseguivano in diverse zone della città, in un'atmosfera di crescente tensione e con un bilancio di 23 morti e circa 800 feriti.

Ed è a Bangkok, che si concentra la maggioranza dei cosiddetti "gialli" (dal colore delle magliette, che riprende quello delle insegne reali): media e alta borghesia, aristocrazia, imprenditori, la maggior parte dei venti miliardari (in dollari) thai elencati nella lista di Forbes. Con il colpo di stato, quindi, hanno ottenuto un duplice risultato. Hanno eliminato il governo in carica (eletto nelle elezioni del 2011), espressione del partito Pheu Thai e rappresentativo dei "rossi", la maggioranza del paese, che comprende soprattutto le classi più povere, gli agricoltori, gli operai. Hanno restaurato l'ordine turbato da quelle manifestazioni che essi stessi hanno sostenuto.

Dopo aver ottenuto le dimissioni del primo ministro Yingluck Shinawatra – sorella dell'ex premier Thaksin, che i gialli considerano un genio del male – l'annullamento delle elezioni del febbraio scorso (ufficiosamente vinte dal Pheu Thai), l'impeachment della premier accusata di nepotismo e abuso di potere, i manifestanti del People's Democratic Reform Committee non riuscivano a far cadere definitivamente il governo, né sembrava realizzabile il progetto di far scegliere il nuovo primo ministro da un "comitato di saggi" espressione dell'élite nazionale. Senza contare che si rischiava uno scontro frontale con i "rossi" (che nel frattempo si erano accampati a migliaia alla periferia ovest di Bangkok).

Una situazione di stallo sbloccata con la dichiarazione della legge marziale e, subito dopo, del colpo di stato, con l'assunzione del potere da parte del National Peace and Order Maintaining Council (NPOMC) – questo il nome definitivo assunto dalla giunta – e l'autodichiarazione a primo ministro del generale Prayuth Chan-ocha, capo di stato maggiore dell'esercito. Lo stesso generale, che era stato uno degli artefici della violenta repressione delle manifestazioni dei "rossi" che nel 2010 avevano bloccato il centro di Bangkok. Probabilmente tutta l'operazione, è frutto di una strategia ben calcolata: era chiaro, infatti, che le manifestazioni dei gialli avrebbero creato una situazione critica e che solo i militari - storicamente fedeli alla monarchia e alle classi dominanti - avrebbero potuto evitare il minacciato "bagno di sangue".

Non è un caso che nei rapidissimi incontri tra i leader delle diverse fazioni avvenuti nei giorni scorsi su "invito" del generale Prayuth i rossi abbiano manifestato qualche possibile apertura, incontrando però l'ostracismo dei gialli. E non è un caso che i manifestanti "gialli" siano stati allontanati dai luoghi di raduno mettendo a loro disposizione pullman turistici in cui si sono accomodati festanti, mentre ai rossi sia stato riservato un minaccioso spiegamento di forze.

Fino a questa mattina, quindi, tutto sembra essere andato secondo i piani. Ma i problemi cominciano ora. Se a Bangkok questa mattina regnava l'ordine, già questa sera sono iniziate le prima manifestazioni di protesta in pieno centro. Ma soprattutto c'è da vedere che cosa accadrà nel nord e nel nord-est, feudi di Thaksin, che hanno già minacciato la secessione. Si teme anche che gruppi di rossi – come hanno annunciato – possano passare alla clandestinità, dando vita a fenomeni di terrorismo. Rischi ancora maggiori per l'economia nazionale: i disordini politici hanno rallentato la crescita del paese che lo scorso anno si è fermata al 2,7% (contro il 7,2 delle filippine, il 5,8 dell'Indonesia e il 5,4 del Vietnam). Quest'anno potrebbe andare molto peggio: l'economia è calata del 2,1% rispetto agli ultimi tre mesi del 2013, il prodotto interno lordo è crollato, gli investimenti esteri si sono drammaticamente ridotti. Molti investitori stanno puntando sul Myanmar (ex Birmania) che sta avviandosi in direzione opposta alla Thailandia: dalla dittatura alla democrazia.

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